L'ira di Renzi contro Rosy: "Non si usa l'Antimafia per regolare i nostri conti"

Il presidente del Consiglio attacca, ma la Bindi fa spallucce: "Non sono io a usare le istituzioni per fini personali". I fedelissimi: vuol fargli perdere le elezioni. Il sindaco di Salerno: "Il vero bersaglio è il segretario Pd"

L'ira di Renzi contro Rosy: "Non si usa l'Antimafia per regolare i nostri conti"

«Mi fa molto male che si utilizzi l'Antimafia per una discussione tutta interna e per regolare i conti in un partito». A metà del comizio finale ad Ancona, dov'è andato a sostenere il candidato governatore del Pd, Matteo Renzi molla un uppercut a Rosy Bindi e alle sue liste di proscrizione. L'inviperita presidente replica: «Giudicheranno gli elettori chi usa le istituzioni a fini personali».

Nel Pd è guerra nucleare: «Mi pare evidente che questa campagna di aggressione, più che contro di me, sia mirata contro il segretario del Pd». Con la sua solita scarsa diplomazia, l'«impresentabile» (secondo Bindi) De Luca dice quel che tutti pensano. «L'operazione “lista degli impresentabili” è una sorta di colpo di coda, un tentativo finale dell'ala irriducibile della minoranza per azzoppare Matteo, cercando di fargli perdere le elezioni», dice un dirigente renziano. Un colpo basso, arrivato a freddo: tanto che ieri mattina Renzi, dopo aver definito il dibattito sulla lista nera bindiana «autoreferenziale e lontano dalla realtà», si era esposto fino a dirsi «sicuro che nessuno di candidati cosiddetti “impresentabili” verrà eletto».

A Palazzo Chigi accusano il colpo basso, arrivato oltretutto nel giorno di chiusura della campagna elettorale «in modo da rendere impossibile ogni replica e spiegazione a De Luca, che ha voluto lui il processo e rifiutato la prescrizione per dimostrare l'infondatezza delle accuse», spiegano. E si ammette di non avere idea di che impatto possa avere sugli elettori la tempesta mediatica scatenata dalla Bindi: «A due giorni dal voto non c'è neppure il tempo per sondare le reazioni». Quindi si arriverà a domenica alla cieca, con tv e giornali scatenati e il Pd agitato da una feroce lotta interna tra vecchia guardia, incarnata dall'eterna Bindi, e nuove leve. Che ci sia un piano, dietro l'iniziativa dell'Antimafia, sono in molti a pensarlo: «La Bindi fa parte di un “cartello” molto più vasto, che persegue la vendetta contro il Pd di Renzi - dice durissimo Roberto Giachetti - c'è chi lo fa presentando libri e chi lo fa usando le Commissioni parlamentari: sono gli ultimi colpi di coda dei falliti che non si arrendono». I segnali del resto non sono mancati: due giorni fa l'ex capogruppo bersaniano Roberto Speranza aveva minacciosamente avvertito: «Chi ha candidato gli impresentabili la pagherà cara». E ieri, sul Foglio, il senatore Stefano Esposito incitava Renzi a reagire contro il «partito nel partito» che cerca di abbatterlo: «Ogni giorno, in ogni talk show, c'è un esponente Pd che parla contro il Pd. L'equivoco va sciolto; lo dico con dolore ma è il momento di divorziare». Come? Nel Pci, ricorda Esposito, «per molto meno» c'era l'espulsione. Renzi non ha intenzione di espellere nessuno, ma è convinto che «stavolta si sia passato il segno». Del resto se ne sono accorti anche nella minoranza, dove la Bindi (a parte il solito Fassina e una fioca difesa d'ufficio di Bersani) è rimasta isolata. Persino una dalemiana e anti-renziana doc, come Enza Bruno Bossio, che dell'Antimafia è membro, ha duramente preso le distanze dalla presidente e dai suoi «tribunali del popolo», dissociandosi dall'iniziativa della “lista nera”.

Dunque Renzi si guarderà bene dal mettere Bindi o chi per lei alla porta, ma il problema della convivenza tra due anime ormai lontanissime del Pd si fa sempre più acuto.

E soprattutto il premier-segretario vuole metter mano agli assetti interni (le commissioni, il gruppo dove so fa più probabile una presidenza di Lorenzo Guerini) e soprattutto riprendere in mano un partito che «in periferia fa come gli pare, candida chi gli pare e non risponde né a Matteo né a nessuno», come dice un membro del governo. Sempre che l'esito delle urne non dia il primo colpo alla sua leadership vincente.

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