L'Isis decapita un inglese: "Adesso tocca all'altro"

Nel video dell'esecuzione di Haines minacce al secondo britannico rapito Paura per le ragazze italiane. La Farnesina: "Per loro faremo di tutto"

L'Isis decapita un inglese: "Adesso tocca all'altro"

I «mostri» contro «gli eroi». Il premier inglese David Cameron fa appena in tempo a incoronare il cooperante britannico David Haines nuovo «eroe britannico» che rischia di dover regalare lo stesso tributo a un altro concittadino in mano all'Isis. Dopo i giornalisti statunitensi James Foley (19 agosto) e Steven Sotloff (2 settembre), i tagliagole islamici hanno ripetuto e mostrato sabato notte al mondo il loro macabro rituale sull'ostaggio inglese Haines: decapitazione davanti alle telecamere, il deserto a fare da scenario, una tuta arancione per ricordare le «colpe» dell'Occidente a Guantanamo. Ora, nello stesso video, minacciano un identico trattamento contro un altro rapito di nazionalità britannica, Alan Henning, 47 anni, cooperante originario di Manchester partito per aiutare i profughi siriani per conto di una Ong.

A Londra l'emergenza è adesso. Anche perché il governo è chiamato in causa direttamente da «jihadi John», il boia dal marcato accento british , che addita Cameron (insieme con Tony Blair) come uno «dei nostri premier britannici che non hanno il coraggio di dire no agli americani», responsabile della promessa di armare i peshmerga curdi. Il primo ministro risponde con un appello agli inglesi: «Non c'è possibilità di voltarci dall'altra parte per rimanere al sicuro». E ribadisce che la Gran Bretagna «è pronta a tutti i passi necessari» - cioè anche ai raid contro le postazioni degli integralisti dell'Isis in Irak e Siria - ma continuerà a lavorare per ora lungo la stessa strada: sostegno ai raid militari Usa, tornado britannici impegnati sul fronte dell'intelligence e niente truppe di terra.

Eppure i jihadisti stanno affilando le armi, anche quelle mediatiche. Nel video in cui il boia John sventola il suo coltello, per poi piazzarlo alla gola della vittima, stavolta sullo sfondo nessuna pianura ma un'inquadratura più ristretta per evitare che l'intelligence, come avvenuto per il giornalista Foley, possa individuare la località in cui è stato realizzato il filmato (nel caso di Foley le colline di Raqqa). E sempre più cittadini americani dubitano ormai che il presidente riesca a fermare l'Isis: il 68% non ha fiducia nella strategia messa a punto da Obama, nonostante diversi Paesi arabi - secondo indiscrezioni di un funzionario del Dipartimento di Stato al New York Times - hanno offerto la propria disponibilità a unirsi ai raid.

Intanto tra gli alleati serpeggia un certo nervosismo sulle strategie adottate per riportare a casa gli ostaggi. Mentre il segretario di Stato Usa John Kerry è al Cairo per lavorare alla coalizione anti-jihadisti, una fonte anonima presente agli incontri alla Casa Bianca rivela la frustrazione del presidente Usa nei confronti della Francia, che a differenza degli Stati Uniti paga riscatti per la liberazione dei suoi cittadini ma sostiene di non farlo. Il nodo è emerso ieri anche dopo le dichiarazioni del sottosegretario agli Esteri Mario Giro. «La politica dell'Italia è di riportare a casa tutti gli ostaggi, non importa come». E ancora: «Ogni paese è sovrano per quanto riguarda la scelta se trattare o meno» con i rapitori, avrebbe detto il numero due della Farnesina a proposito degli ostaggi italiani, tra cui le due coopertanti Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, rapite in Siria.

Poi la rettifica: «La politica dell'Italia è di non abbandonare nessuno». Proviamo «a fare di tutto», ma utilizzando «mezzi leciti e possibili» nell'ambito del «massimo riserbo». Mai detto che «li riporteremo a casa non importa come».

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