Il tempo non si è fermato, ma noi gli stiamo dietro. Noi: forse un po' esagerato. Per il momento meglio dire: Lui. Marcell che suonerebbe meglio Marcello, almeno per una volta. Lui, noi, insomma Italia: l'embrassons nous è collettivo come quello che Gimbo Tamberi è andato a proporgli quando è sfrecciato come solo avevamo visto fare a Usain Bolt. Quello, e non altro, è il ricordo dell'ultima volta del fantastico bolide giamaicano nei 100 metri di Rio de Janeiro, con quel cambio marcia, negli ultimi 30 metri, che lasciò gli americani con il sapore amaro di una vittoria svanita: un altro giamaicano, due americani, due africani, un canadese e un francese composero il rosso tapis disteso sotto le sue inesorabili falcate. Il francese (Vicaut) europeo finì al penultimo posto. Cinque anni dopo l'Europa si prende la rivincita, l'Italia si prende tutto: l'eredità di Bolt e quell'oro conquistato con la stessa frantumante accelerazione negli ultimi 30 metri. Stavolta gli europei erano due, come gli americani, un canadese, due africani, un cinese. Nessun giamaicano: ovvero ecco il nuovo Bolt. Jacobs non ha l'animo del vecchio Usain, guascone e divertente, commediante e showman in pista, ma si prende il tempo. E quando ci pensa, anzi ci riflette, è forse l'attimo in cui vedi scattare l'orgoglio dopo la felice apatia dei primi momenti. Scorre un brivido: «Io successore di Bolt. Ed anche con lo stesso tempo». Anzi migliore perché Usain corse in 981 e Jacobs si è fermato a 980, nuovo record europeo che fa pari con quello dei 200 di Mennea.
Poi, d'accordo, le mamme sono sempre le mamme. E mamma Viviana ha allungato l'idea futura. «Da piccolo gli dicevo che avrebbe raggiunto Bolt. Ce la stiamo facendo. Ora il record del mondo». E, dunque, rieccoci noi Paese del Bolt di casa nostra, mamma italiana, sangue di papà americano e qualcosa avrà funzionato nel mix sanguigno: non a caso gli americani si sono cibati di Owens e Lewis, per non dire Greene e Michael Johnson. Insomma l'aiutino Usa e non getta sarà servito.
Noi ci eravamo goduti la beata canzonatura di Livio Berruti, la maniacale interpretazione di Pietro Mennea, oggi forse ci rivediamo meglio nella naturalezza dell'uomo comune realizzata da un ragazzo muscolato e muscoloso, forse la rivisitazione moderna del campione che ha già famiglia a carico e tre figli. Ma questa è l'Italia che si è messa a correre, anzi è tornata a correre. Filippo Tortu aveva lanciato le avvisaglie di una new generation, poi non tutto è andato secondo programma.
Jacobs ci ha spiegato che si può essere Bolt senza esserlo: tutti, nessuno, centomila a correre con lui. Solo in televisione. Dal vivo un po' dura stargli dietro. Una volta si diceva l'Italia che corre, l'Italia che lavora. In una domenica d'estate abbiamo scoperto solo l'Italia che corre veloce come Bolt.
Anzi, più veloce, questione del battito di una palpebra. Magari succederà anche nella vita reale, dopo un anno difficile. Jacobs ha lanciato l'idea. Ora ci vorrebbe una staffetta: lunga vita all'Italia di un Bolt nato e scoperto per caso.
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