Trump è impallidito. I suoi aiutanti e segretari lo hanno garbatamente immobilizzato temendo il peggio quando erano arrivati i contestatori, che gli americani chiamano renegade, rinnegati, i traditori venuti par non onorare il mandato ricevuto. Urla, «buuuu» nei confronti di Trump già molto preoccupato perché i suoi assistenti si sono accorti che il discorso preparato dalla moglie Melanie somiglia troppo a quello che fece Michelle Obama a sostegno di Barack: umili origini, forti valori, grandi genitori. Ci sarebbe molta cronaca di colore da fare, ma un elemento emergeva con chiarezza: lasciamo perdere l'assenza del gotha del partito che snobba apertamente la convenzione mandando certificati medici ridicoli e scuse ancora più ridicole. Qui il problema è che il partito si sta sfasciando impazzendo come la maionese per un eccesso di ingredienti. Fuori, per strada, cortei e slogan finora innocui, con la polizia che ha canalizzato tutti i dimostranti attraverso percorsi protetti da reticolati di ferro.
Tutti dicono che sono stati prese tali e tante precauzioni che un incidente è quasi impossibile. Ma l'incidente politico c'è. Manca qualcosa di molto americano che rovina la festa. Manca quell'afflato che fa tanto ridere gli europei, quella forte retorica dei sentimenti e dei principi perché si parla subito delle cose che scollano l'ideologia di un partito che si sente ed è conservatore, ma. Che fare dell'aborto? Trump chiuderebbe un occhio, il partito no e neanche il suo candidato vicepresidente Pence che è un crociato contro l'aborto. E poi le politiche sociali vere e proprie. Tutta la furia contro i latinos non è condivisa affatto, come l'idea del muro col Messico.
Più che altro manca, dice Paul Ryan speaker al Congresso e della Convention, una politica a favore dei nostri concittadini neri americani. Il partito vorrebbe una grande, grandissima apertura ai neri sulla scia di quel che fecero i due Bush, padre e figlio, che promossero Colin Powell alla testa delle forze armate e Condoleezza Rice alla testa della diplomazia americana. È nella tradizione storica repubblicana, e non democratica fino a Kennedy, battersi per i diritti civili e per il lavoro degli americani di colore. Trump, gli urlavano ieri, non è riuscito ad impedire che Hillary Clinton diventasse la paladina di tutti afroamericani, accompagnata da uno chaperon come Barack Obama. Questo, per il Grand Old Party, è uno smacco. Paradossalmente, in strada compaiono moltissimi giovani neri con la maglietta di Trump e spiegano che ne sono fierissimi, sia della maglietta che di Trump, perché credono in un'America di nuovo grande: «E comunque dalle sua labbra non è mai uscita una sola parola razzista», dice Eric Smith di 36 anni, intervistato da un giornalista del New Yorker.
Ma il termometro della tensione - più ideologica, frontale, che semplicemente politica - si legge sui volti un po' terrorizzati delle numerose mogli. Mogli di delegati, di governatori e di parlamentari, tutte in gran tiro americano, che vedendo quella scena infernale nel grande atrio - urla, parolacce, minacce - hanno cominciato a chiedersi se non fosse il caso di andare via a gambe levate. Poi sono rimaste, ma un po' tremanti. In passato ci sono stati scontri alla Convention repubblicana, ma mai nulla di simile: Ronald Reagan tentò nel 1975 di battere Gerald Ford che era diventato presidente senza essere mai stato eletto prima, e perse. Ma il suo discorso fu talmente appassionato anche per la violenza ideale che trasmetteva, che lo stesso Ford corse ad abbracciarlo e ad invitare il pubblico all'applauso. Qui siamo alla guerra civile interna e si assiste al paradossi che i delegati e i politici anti Trump si sono messi a discutere seriamente delle candidature del 2020 e ad organizzare i Pac, cioè i fondi da investire su ciascun candidato. Come dire: a quest'uomo vada come vada. Noi dobbiamo tenere insieme il partito.
Ma il partito non sta più insieme non perché Trump sia cattivo, sboccato, aggressivo, ma perché per primo ha capito che aria tirava nell'elettorato americano medio al quale ha trasmesso il messaggio del pericolo imminente: il tuo lavoro è in pericolo per
gli immigrati, la tua vita è in pericolo per i terroristi, la tua patria è in pericolo perché cerca di aiutare tutti tranne se stessa, torniamocene tutti nella nostra America grande e grandissima, ma pur sempre da giardino.
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