L'orrore nelle vite dei nostri figli

Di Adolescence si dovrebbe parlare di più in famiglia, prima tra genitori e poi insieme ai figli, e un po' meno sui giornali dove, si sa, troppo spesso si perde il senso d'insieme per portare avanti inutili battaglie ideologiche

L'orrore nelle vite dei nostri figli
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Su Adolescence vogliono tutti quanti dire la loro. Sui giornali, soprattutto. Eppure è tutto così chiaro, tutto lì da vedere. C'è una ragazzina ammazzata a coltellate, sette, in un anonimo parcheggio di un anonimo paesino del Regno Unito. C'è un altro ragazzino tredicenne, quindi forse un bambino, che persino davanti alle immagini delle telecamere di sicurezza giura di non aver fatto nulla ma che poi, sotto pressione, svela tutta la rabbia che gli brucia dentro. Alle spalle di queste vite spezzate, ancora troppo giovani per portare a casa uno stipendio ma non per maneggiare una lama, c'è una scuola difficile dove i professori non riescono ad andare oltre alle lezioni di matematica, storia e geografia. Poi c'è il colosseo fatto di pixel e social, una piazza virtuale dove le emoji hanno significati diversi da quello che rappresentano, i commenti fanno mancare il respiro come pugni alla bocca dello stomaco quando vengono amplificati da pollicioni all'insù e cuoricini e la totale assenza di regole fa proliferare pericolose teorie machiste. E, infine, ci sono le famiglie, dove all'improvviso quattro persone un tempo unite si scoprono estranee le une alle altre. Tra queste c'è anche la famiglia del mostro, che precipita in una prigione diversa da quella in cui sbattono il figlio, una cella fatta di dolore e sensi di colpa, di presente anestetizzato e futuro privo di riscatto.

Di Adolescence si dovrebbe parlare di più in famiglia, prima tra genitori e poi insieme ai figli, e un po' meno sui giornali dove, si sa, troppo spesso si perde il senso d'insieme per portare avanti inutili battaglie ideologiche. In questi giorni ci capita di leggere di tutto. Da chi propaga assurde bufale a sfondo razziale a chi svilisce la trama buttandola in politica. C'è pure chi, pur cogliendo la drammatica violenza che ogni giorno si consuma sui social, preferisce vedere solo quella fomentata contro le donne. Perché sì, Katie, prima delle pugnalate, subisce pure il calvario del revenge porn per una foto inoltrata a un compagno e subito dopo inoltrata ai cellulari di tutta la scuola. Ma Jamie, prima di trasformarsi in un assassino, deve fare i conti con l'etichetta di «sfigato» che Katie gli mette addosso scatenando i social contro di lui.

Il ché non lo giustifica neanche lontanamente ma nasconderlo, forse, non ci aiuta a capire l'abisso di questi ragazzi, che quando li mettiamo a letto pensiamo ancora a loro come a dei bambini, e non ci aiuta nemmeno a salvarli. O perlomeno a provarci. Perché, se Adolescence è solo fiction, fuori da Netflix, fuori dalla tv, c'è l'inferno, quello vero.

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