È l'ultima sentenza in Italia per abuso d'ufficio, emessa il giorno prima che - con la pubblicazione della nuova legge sulla Gazzetta Ufficiale - il reato venisse cancellato dal codice penale. E l'ultima sentenza è una assoluzione, dopo un processo durato cinque anni: a riprova di quanto fluido, vago fosse quel reato. A venire assolto dall'accusa di abuso è Stefano Fava, il pm romano che andando all'attacco dei suoi capi innescò il cataclisma noto come «caso Palamara». Fava viene condannato solo per una accusa minore ad una pena quanto mai blanda. E Luca Palamara, che era finito sotto processo insieme a lui per rivelazione di segreto d'ufficio, viene assolto con formula piena. Della valanga di accuse che travolsero l'allora (quasi) onnipotente leader della magistratura italiana non resta nulla.
La sentenza viene pronunciata ieri dal tribunale di Perugia, al quale la Procura aveva chiesto di condannare Fava a due anni e Palamara a otto mesi. Al centro del processo i veleni che nel maggio 2019 attraversavano la Procura di Roma, con Fava che chiedeva inutilmente di poter arrestare il faccendiere Pietro Amara, ex avvocato di Eni, utilizzato come testimone d'accusa in processo i delicati sia a Roma che a Milano. Fava aveva capito quello di cui ora i suoi colleghi più autorevoli hanno dovuto prendere atto: Amara è un mestatore, un calunniatore, un «avvelenatore di pozzi». Ma allora i vertici, con in testa il procuratore Giuseppe Pignatone, stopparono il suo arresto. La situazione precipitò quando a due giornali arrivarono le carte di un processo che chiamava in causa il fratello di uno dei vice di Pignatone, per incarichi professionali legati al mondo Eni. Contro Fava e Palamara, accusati di avere complottato contro Pignatone e il suo entourage, partí l'inchiesta che ieri viene inabissata dalla sentenza di Perugia, a Fava vengono inflitti solo cinque mesi con la condizionale per avere scaricato i documenti dal server del tribunale.
«Questa sentenza - commenta Palamara - certifica che non ho mai tramato contro nessun magistrato come in maniera roboante avevano titolato i giornali del Sistema». Nella reazione dell'ex presidente Anm, l'inchiesta che ieri finisce in nulla è l'altra sponda della manovra dell'operazione che lo stesso giorno degli articoli su Fava portò alla comparsa di altri articoli: quelli che svelavano l'indagine sull'Hotel Champagne, ovvero sulle trattative tra magistratura e politica per occupare le cariche di vertice della giustizia. Per Palamara, la manovra aveva come obiettivo bloccare la nomina di magistrati invisi alle correnti di sinistra.
«La mia ricerca della verità - dice ieri Palamara - continuerà per capire chi e perché il 29 maggio del 2019 pubblicò quegli articoli con l'evidente intento di impedire che Marcello Viola potesse essere nominato Procuratore di Roma interferendo con l'attività di un organo di rilievo come il Csm». Ma su quella fuga di notizie nessuno ha mai davvero indagato.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.