L'ultimo appunto e il ricovero: "Se non torno..."

Sono i giorni della rielezione di Mattarella: l'ex premier teme per la sua vita e scrive

L'ultimo appunto e il ricovero: "Se non torno..."
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A Arcore è grigia e fredda la mattina del 19 gennaio 2022. Per la politica italiana sono giorni convulsi, il mandato del presidente della Repubblica è scaduto da settimane ma non si riesce a eleggere un successore. Sul tavolo c'è da una manciata di giorni anche la candidatura di Silvio Berlusconi, avanzata dal centrodestra. Nei corridoi di Montecitorio e nei ristoranti della Capitale si incrociano le trattative. Ma Berlusconi, che pure considera l'approdo al Quirinale la conclusione logica della sua carriera politica, non è a Roma. È a Villa San Martino, nella grande casa alle porte di Milano. Sta per andare in ospedale, al San Raffaele dove da anni le sue visite sono quasi una consuetudine, le messe a punto continue di un organismo segnato da acciacchi di ogni tipo: ricoveri che il Cavaliere affronta con la grinta di chi ormai ne ha viste tante ed è convinto che ogni volta andrà bene.

Ma quella mattina di gennaio anche l'inguaribile ottimismo di Berlusconi cede al realismo. Qualche giorno dopo, quando la notizia del suo ricovero ospedaliero diventerà pubblica, e spiegherà la sua assenza da Roma nelle ore febbrili del toto-Quirinale, le versioni ufficiali parleranno come al solito di «controlli di routine». Invece adesso si scopre che di routine non c'era proprio nulla. Una sepsi devastante rischia di uccidere il paziente. A Villa San Martino, mentre lo staff gli prepara la borsa per la degenza, Berlusconi sa che la morte stavolta è a portata di mano. Certo: vuole guarire, vuole tornare a casa, vuole diventare presidente della Repubblica. Ma ha capito che è anche possibile che lo sguardo che posa sul parco e sui quadri sia l'ultimo sguardo. Che il viaggio verso il San Raffaele sia senza ritorno.

Così chiede che gli portino un blocco per gli appunti, quello con la carta intestata di Villa San Martino. Fa un po' impressione immaginarselo lì, da solo, mentre scrive ai figli. Ne dimentica uno, Luigi: il più piccolo, il più coccolato, ed è forse il sintomo più chiaro dell'emozione che deve provare in quel momento. «Se non dovessi tornare»: quattro parole per dire che Berlusconi si rende conto che forse è una lettera d'addio. La grafia è incerta, tremante. Ci sono le ultime volontà, i soldi per il fratello Paolo, per la compagna Marta, per l'amico Marcello. Il foglio finisce, la firma «il vostro papà Silvio» è costretta in pochi centimetri, quasi incomprensibile.

Berlusconi infila il foglio in una busta, scrive sopra «ai miei figli», la affida alla sua compagna Marta. Un quarto d'ora dopo è al San Raffaele, all'appuntamento che potrebbe risultargli fatale. Invece è vecchio, è malconcio, eppure anche questa volta se la cava. Tre giorni dopo il ricovero, quando tutti ancora lo credono ad Arcore, affida a Licia Ronzulli l'annuncio con cui si ritira dalla corsa per il Quirinale. Il giorno dopo si viene a sapere che è ricoverato al San Raffaele, ma ormai l'emergenza è passata, nella stanza-suite inizia la processione delle visite di familiari e compagni di partito, Berlusconi alla morte non pensa più, c'è da chiudere la partita per il Quirinale, mettere la firma di Forza Italia sulla rielezione di Mattarella.

Il 31 gennaio, quando il Cavaliere lascia l'ospedale, la riconferma del capo dello Stato è cosa fatta.

Berlusconi torna ad Arcore, nella villa che temeva di avere visto per l'ultima volta. La vita riprende e va avanti, ma nulla è più come prima. Da qualche parte, nella villa, c'è quel foglio giallo, «se non dovessi tornare», con la firma tremante. Da quel momento, Berlusconi è pronto per l'addio.

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