Fine primo atto. Si sono appena chiuse le urne per un turno di elezioni amministrative che ha interessato 793 città, tra cui 17 comuni capoluogo di provincia e 1 capoluogo di regione, Ancona. E ci si prepara ora a ripetere il rito elettorale tra due settimane, almeno in quelle città in cui in assenza di un verdetto schiacciante, - il 50% più uno dei voti - gli elettori dovranno tornare a dire la loro e scegliere tra i due primi classificati nel turno di ballottaggio.
Questo replay del voto, però, in tempi di disaffezione per la politica appare sempre meno gradito dai votanti. Di elezione in elezione la parola più usata per descrivere la partecipazione al ballottaggio nei titoli dei giornali del giorno dopo è «tracollo». Un dato di sistema che al di là dei singoli interessi dovrebbe interpellare tutte le forze politiche. La questione di una possibile riforma del sistema delle Comunali, però, fatica a decollare. O meglio viene rilanciata dal solo centrodestra e questo avviene dopo l'ennesimo caso di ribaltone al secondo turno dettato più che da una precisa scelta politica, dal disinteresse degli elettori. A Udine, infatti, Alberto De Toni il mese scorso ha sconfitto il candidato del centrodestra Pietro Fontanini che aveva dominato al primo turno, con una contrazione dei votanti dal 54% al 44%. Numeri eloquenti.
È dal 1993 che l'elezione dei sindaci dei comuni con almeno 15mila abitanti ha luogo attraverso il ballottaggio fra i due candidati più votati al primo turno, qualora nessuno dei candidati abbia ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validamente espressi. È chiaro che tutti sanno che il ritorno al voto di solito favorisce il centrosinistra e penalizza il centrodestra, con gli elettori di quest'ultimo convinti di aver già dato recandosi alle urne al primo turno. Come fare allora a provare a porre rimedio a un problema che oltretutto implica costi non indifferenti per le casse dello Stato?
Nelle scorse settimane il centrosinistra si è unito al Senato per contestare un emendamento presentato da alcuni senatori del centrodestra, poi ritirato. Un emendamento che aveva come obiettivo proprio l'eliminazione dei ballottaggi nei comuni sopra i 15mila abitanti, a condizione che il candidato sindaco raggiungesse almeno il 40% dei voti. «Faremo le barricate», era stato il commento di Barbara Floridia dei Cinquestelle. E la stessa Elly Schlein ha parlato della questione promettendo che «noi ci opporremmo compattamente all'idea di abbassare la soglia per il secondo turno delle amministrative».
Chi ha pochi dubbi sul fatto che il ballottaggio (il termine deriverebbe dal fiorentino ballotta, sinonimo di castagna, e dall'utilizzo appunto di castagne nelle votazioni dei Priori delle Arti) abbia fatto il proprio tempo è Roberto Calderoli, con un giudizio decisamente tranchant. «A mio modo di vedere il meccanismo del ballottaggio non ha più senso di esistere, perché c'è un evidente rischio di distorsione della volontà popolare» ha dichiarato il ministero per gli Affari Regionali. «Come può avere senso un sistema dove come a Udine il vincitore raccoglie meno voti dello sconfitto? Senza contare poi il classico mercato delle vacche tra un turno e l'altro, in barba alla volontà dei cittadini. È evidente che qualcosa non funziona, il ballottaggio dev'essere messo in discussione».
Ecco allora l'idea di lavorare su una soglia più bassa che consenta a chi superi il 40% dei voti nel primo turno di aggiudicarsi la vittoria.
In sostanza il modello Sicilia dove i sindaci di Palermo e Messina, pur non avendo raggiunto il 50%, lo scorso anno vennero eletti al primo turno. La questione, dopo i primi fuochi di avvertimento, è destinata a riaccendersi. Ma l'individuazione di un terreno comune e di una mediazione bipartisan appare al momento difficile da immaginare.
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