Ora che il governo di Mario Draghi ha riaperto la questione delle liberalizzazioni si è costretti a constatare come tale tema affondi nella nostra storia. Già negli anni Settanta l'allora governatore della Banca d'Italia, Guido Carli, aveva richiamato l'attenzione sulla necessità di creare nuovi spazi per la libera iniziativa quando, in un celebre intervento, aveva parlato del persistere di «lacci e lacciuoli».
Dopo di lui i tentativi di riformare in senso competitivo l'economia italiana sono stati numerosi. Senza dubbio, i più celebri si devono a Pierluigi Bersani, il quale recepì alcune indicazioni europee e allargò qualche spazio: nell'ambito dell'energia elettrica, delle assicurazioni, della telefonia e in altri settori. Anche se sotto la formula delle «liberalizzazioni» passarono anche scelte tutt'altro che orientate ad aprire il mercato, nell'insieme quelle riforme hanno un poco aiutato ad aumentare la concorrenza. Dobbiamo ammettere, in particolare, che l'Italia odierna non è più quella della vecchia Sip o di un Enel monopolista, assai simile all'Edf francese. Gli sforzi che a varie riprese si sono fatti, insomma, hanno cambiato un po' le cose. Eppure se oggi si torna a parlare di liberalizzazioni è perché troppe questioni rimangono irrisolte.
Per giunta, il testo emerso dopo i negoziati tra le varie componenti della maggioranza non riguarderà il notariato, che ancora una volta è uscito indenne, e neppure i concessionari delle spiagge. Anche su un altro dossier «classico», quello dei taxi, il disegno di legge si muove con prudenza, anche se questo non è bastato a tranquillizzare i titolari di licenze, che sono già sul piede di guerra.
Come già in passato, in molti casi sotto la dizione «liberalizzazioni» vengono poi collocate scelte che poco hanno a che fare con un ampliamento degli spazi di mercato: come quando, ad esempio, s'introduce la parità di genere nelle nomine o si prevedono tutele di varia natura per i consumatori.
Il punto vero è che da decenni si constata come non sia facile liberalizzare un'economia che nei fatti vive troppo spesso di protezioni e relazioni di favore. E se certamente è vero che molte resistenze vengono dalla cosiddetta «società civile» (si pensi ai tassisti), ancor più forti sono le opposizioni interpretate dal ceto politico e dai suoi numerosi tentacoli nell'economia pubblica e para-pubblica.
Interi settori chiave potrebbero essere facilmente liberalizzati se solo si riuscisse a scalzare l'opposizione di un minuscolo, ma agguerritissimo, gruppo di boiardi di Stato e di oligarchi di provincia. È sufficiente pensare ai servizi pubblici locali, che dovrebbero in ogni modo permettere il sorgere di alternative private se si affermasse l'idea che bisogna puntare al miglior servizio al minor costo.
E analogo discorso si dovrebbe fare per il settore bancario, ingessato da una forte ipoteca politica (da un lato) e da sistemi di vigilanza che invece che tutelare il consumatore finiscono per limitare la competizione (dall'altro).
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