Rocco Papaleo, non l'attore. Il carabiniere. Ma pure lui col bernoccolo del palcoscenico. I cronisti di nera che lo hanno conosciuto nelle sedi (Vigevano, Piacenza, Cremona) in cui si è sempre distinto per intuito, rigore e senso del dovere, ricordano infatti con «gratitudine» le brillanti conferenze stampa del maggiore Papaleo che garantivano sempre un titolo da prima pagina. Roba gustosa, del tipo: «Infermiera 33enne bussa di notte ai carabinieri: mio marito è affamato di sesso, ma io voglio dormire»; «Parrucchiera 35enne spacca il naso al marito: a letto non è più lui»; «Sorprende la moglie a guardare Rocco Siffredi all'Isola dei Famosi: rompe la tv con una mazza». A illustrare queste e altre mirabolanti operazioni dell'Arma (tutte vere!), sempre lui: Rocco Papaleo, l'ufficiale della Benemerita col «fiuto da reporter». Origini lucane, come l'omonimo attore del film Basilicata coast to coast, il maggiore Papaleo è un segugio che individua sempre la pista giusta. Come nel caso - clamoroso - del verminaio della caserma Levante di Piacenza, dove alcuni suoi colleghi sono ora accusati di averne combinate di tutti i colori (minacce, spaccio, torture ecc.). Se lo scandalo è venuto fuori il merito è proprio di Papaleo, bravo nel «decriptare» una soffiata («In quella caserma avvengono cose molto brutte») che gli era venuta da uno spacciatore marocchino ricattato dal famigerato «appuntato Peppe Montella», presunto capo della banda dei carabinieri-boss. Dopo le confidenze del pusher, Papaleo - evidentemente non fidandosi dei «fratelli» carabinieri - aveva «segnalato» la vicenda ai «cugini» poliziotti. Di lì le indagini, i riscontri, gli arresti. Ma ieri, per la prima volta, i giudici titolari dell'inchiesta hanno convocato il carabiniere «Serpico» per farsi raccontare la genesi di quella «dritta» che ha scoperchiato un caso di gravità eccezionale. Per cinque ore Papaleo (per dieci anni alla guida proprio del Nucleo investigativo di Piacenza, ndr) è stato sentito negli uffici della procura di Piacenza come persona informata sui fatti in merito all'operazione «Odysseus» che vede coinvolti alcuni carabinieri della stazione Levante, posta sotto sequestro. Al termine del colloquio con il procuratore capo di Piacenza e con i pm, il maggiore Papaleo, attuale comandante della Compagnia di Cremona, si è limitato a dire di «essere sereno»: «Il mio compito non è chiarire la vicenda, ma rispondere alle domande dell'autorità giudiziaria. Ritengo di aver fatto il mio dovere fino in fondo, credo nell'Arma dei Carabinieri e nella giustizia».
A suo tempo l'attuale comandante della compagnia carabinieri di Cremona, convocato in procura per un'altra indagine, aveva riferito di «aver ricevuto messaggi da un uomo di nazionalità marocchina che diceva di essere un informatore dei carabinieri e che riceveva, come ricompensa per le informazioni, della droga custodita in un contenitore presente alla caserma Levante». In base a quanto raccontato dall'informatore, «quando le risposte non erano esaustive, veniva minacciato». L'uomo aveva inoltre aggiunto che i militari di quella caserma avrebbero «organizzato anche festini a base di stupefacenti e in presenza di prostitute».
Papaleo aveva ritenuto attendibili le dichiarazioni del marocchino, oltre ad essersi insospettito per il tenore di vita particolarmente di un carabiniere della Levante (Giuseppe Montella ndr). Sospetti che, al contrario, non avevano mai sfiorato i diretti superiori dell'appuntato Montella. Forse perché complici di uno stesso disegno criminoso?
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