Di Maio al Colle, Mattarella non c'è

Visita "sgradita" in campagna elettorale. Il leader ricevuto dal segretario

Di Maio al Colle, Mattarella non c'è

Roma - Se davvero esistesse una «macchina organizzativa» grillina che lavora a ritmo infernale per i «botti» di fine campagna - eventi con i «futuri ministri», dossier contro avversari -, andrebbe licenziata per manifesta follia. Quella di spingere Luigi Di Maio a chiedere di esser ricevuto al Quirinale, «per cortesia istituzionale», ritenendo «doveroso impegno informare sui nomi della nostra squadra il presidente della Repubblica prima di dirli pubblicamente». Dal Quirinale prima gli è stato fatto intuire qualche «grazie anche no... il presidente è impegnato, è uscito, ha il mal di testa». Poi, vista la garbata insistenza, della vicenda s'è auto-investito il segretario generale Zampetti in persona, e così ieri mattina ha ricevuto il popolare Giggino che si è comportato come il classico sprovveduto, «rassicurando» sulle sue buone intenzioni e sulla fiducia nel «Presidente garante» . Ma poi, sempre con la massima cortesia, a Di Maio sono state spiegate un paio di cosette che dovevano essergli sfuggite. Primo: le elezioni non ci sono ancora state, il Quirinale non può essere trascinato nella bagarre, peggio se c'è sentore di trovata propagandistica. Secondo: garbo vuole che si attenda non solo il risultato, ma anche la valutazione politica che il Capo dello Stato darà della situazione emersa. Non esiste alcun mandato «automatico», inutile (forse autolesionistico) insistere oltre.

Nella spasmodica ricerca di ulteriori diversivi, l'aspirante premier ha ripiegato sul provino (davanti allo specchio?) del discorso d'investitura. «È con molta emozione e sincerità... che vi dico che è una supersquadra di cui sono molto orgoglioso. Uomini e donne di buona volontà, non le stesse facce che vedete da 20 anni... non incompetenti, non arrivisti e affaristi, nulla dello schifo cui siete abituati. Persone competenti, oneste e riconosciute». L'amico Di Battista intanto metteva una pezza: «La situazione è delicata, il gesto di Di Maio è stato molto responsabile, fatto per non far cadere il Paese nel caos dopo le elezioni». In effetti, non si sa bene chi sia il consigliere giuridico-istituzionale dei grillini, ma un corso di ripasso non gli farebbe male. Partendo forse da questa storia della squadra di governo così in voga. Per completarla pare che manchi solo un nome, l'economia. Ha ribadito il suo «no» il professor Becchetti di Tor Vergata. In pole position, potrebbe esserci Claudio Consolo, già candidato a Roma 1, padovano, solida mente economico-giuridica e già consulente di Alfano alla giustizia (e non solo). Al Lavoro, Pasquale Tridico, docente a Roma Tre; al Mise (o all'Università) Lorenzo Fioramonti, docente a Pretoria. Vincenzo Spadafora, ex garante per l'infanzia, potrebbe essere il primo ministro «per la Qualità della vita e il benessere delle famiglie e dei bambini». Molte le donne nei ministeri chiave, in primis all'Interno. Il capitano De Falco, che aspirava alla Difesa, azzoppato dallo scandalo familiare, spera nel repêchage.

Per lo Sport, è stato contattato nientemento che Zdenek Zeman. Il quale, non essendo un fessacchiotto, per ora si limita ad annunciare la presenza alla presentazione del programma sportivo (il 28 febbraio a Pescara). Mai dire mai.

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