Ti iscrivi a un club di scacchi che ti permette di partecipare al torneo più importante ma in cambio ti chiede di usare solo il telefonino fornito dal club a un prezzo fuori mercato. Il telefonino in questione raccoglie i tuoi dati sensibili, gli orientamenti politici, il modo in cui spendi lo stipendio e in più ha una funzione «whistleblowing», che permette a chiunque di parlare male di te. Il telefonino è spesso senza segnale e in più il Garante della privacy multa il gestore perché conserva i dati personali raccolti a portata di spioni. E non solo: il socio fondatore del club che ha ereditato lo status dal padre è anche il fornitore dei telefonini.
Basta sostituire a «telefonino» il termine «piattaforma Rousseau» per capire cosa sta succedendo alla gioiosa macchina da guerra informatica dei 5 Stelle. E, soprattutto, per capire perché gli iscritti al club, che non si occupa di scacchi ma di governare l'Italia, sono ormai in aperta rivolta. Ciascuno di loro si è obbligato a versare 300 euro al mese a Rousseau per i non invidiabili servizi resi. È sufficiente un'occhiata ai resoconti da poco pubblicati dalla piattaforma, dopo innumerevoli e pressanti richieste da parte dei parlamentari M5s, per scoprire che nei primi due mesi dell'anno meno di uno su cinque (61 su un totale di oltre 330) hanno versato regolarmente i 300 euro al mese. Non hanno più pagato anche molti big: nell'elenco manca perfino Luigi Di Maio, oltre a esponenti del governo come Giulia Grillo, Danilo Toninelli, Laura Castelli e la vice presidente del Senato Paola Taverna. Per il capo politico e vicepremier si tratta di una grana visto che non è in grado di ottenere «fedeltà» dai suoi eletti.
Non è un semplice ritardo nei versamenti. Il Giornale è in grado di confermare che parecchi parlamentari stanno contestando la gestione di Rousseau, temono il rischio schedatura già denunciato da questo quotidiano, protestano per i malfunzionamenti ed esigono chiarimenti sulla gestione dei propri dati personali. E alcuni hanno avviato approfondimenti legali per capire come bloccare il pagamento. I «fondatori» l'avevano previsto e, incredibilmente, hanno inserito nelle regole del M5s l'obbligo di servirsi di Rousseau, in barba al conflitto di interessi di Davide Casaleggio, che è al contempo presidente e tesoriere dell'associazione Rousseau e socio fondatore del M5s. La via d'uscita è sospendere i pagamenti, in attesa di chiarimenti. Forse non è un caso che i resoconti sui 300 euro si fermino a febbraio.
«Confesso che da tre mesi non sto versando i 300 euro -ammette coraggiosamente, vista la facilità con cui si finisce sulla lista nera, la deputata pentastellata Veronica Giannone- ho chiesto tante volte invano spiegazioni sui problemi della piattaforma. Se poi è vero che ci sono fascicoli su di noi, è una cosa che mi fa incazzare». Non tutti accettano di parlare apertamente, ma il fermento è innegabile. «I problemi sono noti ammette il deputato Davide Galantino- ma preferisco rappresentarli internamente chiedendo la messa a norma. Sui versamenti dei 300 euro preferisco non dire nulla». A sorpresa, tra chi continua puntualmente a versare c'è Elena Fattori, e non perché approvi l'andazzo di Rousseau: «Con i 90mila euro al mese che paghiamo dovremmo avere una piattaforma del livello della Banca d'Italia -accusa la senatrice ribelle- invece ci sono tanti problemi. E non è accettabile continuare con questa situazione di conflitto di interessi, non è un fatto personale, ma Casaleggio non può fare l'imprenditore e contemporaneamente avere i ruoli che ha nel Movimento. Io però preferisco continuare a pagare e pretendere che la situazione cambi». Nel frattempo il Movimento tiene la senatrice, insieme alla collega Paola Nugnes, in uno stato d'accusa che pare a tempo indefinito.
I numeri al Senato non consentono di perdere altri pezzi. Ma la nuova classe dirigente grillina sembra meno disposta di quella della prima ora a subire certi soprusi e mette nel mirino Casaleggio. Un bel rebus per il Movimento.
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