Per un governo di unità nazionale Luigi di Maio c'è. Il ministro degli Esteri si prepara al dopo Conte. La svolta era nell'aria da tempo. Ma negli ultimi giorni sono arrivati passi in avanti. A cominciare dal cambio di linguaggio: unità, responsabilità, condivisione, chiede il ministro. Di Maio accelera. Non vuole restare fuori dalla partita. E sarebbe pronto anche a smarcarsi dal M5S. Garantendo con la sua pattuglia di parlamentari (40 deputati e 20 senatori) l'appoggio (i voti in Parlamento) alla svolta.
I fedelissimi sono allertati. Nelle chat dei deputati vicini a Di Maio l'esperienza Conte viene considerata al capolinea. Il rompete le righe arriva con la lettera del ministro degli Esteri a La Repubblica. È la mossa che segna un cambio di strategia: «Le piazze vanno ascoltate», scrive Di Maio. Un segnale chiaro spedito al Palazzo Chigi: l'azione del governo Conte non gode più del sostegno dei cittadini. Messaggio che Di Maio ribadisce ieri in un post su Facebook: «Come possiamo pensare di unire il Paese se la politica si dimostra spaccata?», si chiede il ministro degli Esteri. «Sento troppe polemiche che fanno male. Parliamo con estrema chiarezza - scrive Di Maio -, facciamolo guardando i fatti. C'è una parte d'Italia che giustamente ha timore per la propria salute e che deve fare i conti con la crisi economica. Tutte queste paure sono comprensibili. Ma bisogna lavorare sempre di più per fermare il virus, per aiutare chi soffre e dare sostegno a chi ha bisogno. Bisogna rimboccarsi le maniche e intervenire concretamente con misure che salvano la vita delle persone e il lavoro dei nostri concittadini. Non possiamo pensare di fermarci adesso, serve una visione a lungo termine perché con questo virus dovremo conviverci ancora per mesi». E poi quell'appello finale, che prelude a un esecutivo di unità nazionale: «Dobbiamo sentire il peso della responsabilità sulle nostre coscienze. Rimaniamo uniti».
Un invito che sembra in linea con l'appello lanciato (dalle pagine de La Repubblica) dal segretario del Pd Nicola Zingaretti. Il ministro degli Esteri è pronto al Di Maio ter. Nonostante i nodi vengano al pettine. Come i fallimenti: l'ultimo è il caso Whirpool. Da ministro dello Sviluppo economico (Conte 1), Di Maio il 30 ottobre del 2018 rivendicava il risultato: «Whirlpool non licenzierà nessuno e, anzi, riporterà in Italia parte della sua produzione che aveva spostato in Polonia. Questo è il frutto di una lunga contrattazione che siamo riusciti a chiudere al ministero dello Sviluppo Economico. Sono quindi orgoglioso di dire che ce l'abbiamo fatta: stiamo riportando lavoro in Italia». Due anni dopo, lo stabilimento Whirpool chiude. Di Maio scappa e lascia la patata bollente nelle mani del premier Conte che ieri ha incontrato i sindacati. La proprietà ha deciso di chiudere lo stabilimento napoletano. Gli operai andranno a casa. Ma ora la colpa è tutta di Conte.
Altro motivo per mandarlo a casa? Le opzioni su cui ragiona Di Maio sono due. La prima è condurre tutto il Movimento nell'operazione. Ma le resistenze tra i Cinque stelle, per un terzo esecutivo, non sono poche.
Ecco che il titolare della Farnesina scopre la carta di riserva: la corrente dimaiana battezzata in Parlamento con il voto per l'elezione dei commissari Agcom. Quarantadue deputati e 22 senatori: numeri decisivi per garantire una terza vita al politico di Pomigliano d'Arco.
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