Mark, il "premier-teflon" maestro di elasticità e di rimonte. E anche stavolta ce l'ha fatta

In sella da quasi sette anni con maggioranze variabili a dicembre era dato per battuto. Ma ha recuperato puntando almeno in parte sulle stesse carte del suo avversario

Mark, il "premier-teflon" maestro di elasticità e di rimonte. E anche stavolta ce l'ha fatta

Elastico e resistente a colpi e pressioni, si è meritato il soprannome di premier-teflon. Tranquillo e riflessivo, amante della storia e del pianoforte, sfugge al cliché del «gigante buono» solo perché in Olanda essere alti come lui (un metro e 95) non fa notizia. Mark Rutte, premier uscente e probabilmente rientrante dei Paesi Bassi, non è il tipo di politico che attira attenzione su di sé alzando la voce o prendendo iniziative a effetto. Preferisce un approccio più pragmatico, che gli deriva anche dall'aver lavorato come manager, prima di dedicarsi a tempo pieno all'attività politica nel partito liberaldemocratico Vvd, in grandi aziende come Unilever e Calvé. Non a caso ha sempre lavorato per avvicinare il sistema scolastico del suo Paese al mondo del lavoro.

Tollerante ma non ingenuo, secondo la tradizione olandese, è arrivato alla guida del governo nell'ottobre del 2010, a 43 anni, e da allora non l'ha più lasciata. Forte della maggioranza relativa che è riuscito a ottenere in due elezioni consecutive, ha cambiato con una certa disinvoltura le sue alleanze in Parlamento, rimbalzando da destra a sinistra secondo le necessità imposte dalla legge elettorale proporzionale olandese, che produce rappresentanze frazionatissime. Tra il 2010 e il 2012 ha perfino stretto un accordo con il suo rivale di oggi, il populista Geert Wilders, che sostenne dall'esterno il governo targato Vvd in cambio di leggi restrittive sull'immigrazione e contro il burqa.

Mark Rutte è giunto alle elezioni di ieri con l'obiettivo dichiarato di cercare un terzo mandato consecutivo da premier, ma inseguito per mesi da sondaggi poco incoraggianti. Il già citato Wilders veniva indicato come immancabile vincitore, seppur condannato da quella stessa legge proporzionale a ricercare ipotetici alleati in un Parlamento affollato di partiti e partitini disposti a tutto fuorché a sostenerlo. L'ansia provocata dalle cupe imprese dei terroristi islamici in Europa e da una crescita percepita come eccessiva e inquietante dell'immigrazione nei Paesi Bassi da Paesi di cultura musulmana, oltre alle vittorie inattese del referendum antieuropeo nel Regno Unito e di Donald Trump negli Usa, sembravano un propellente incontenibile per Wilders, che promette e auspica non solo l'uscita del suo Paese dall'euro e dall'Ue, ma «la fine dell'Unione Europea» tout court.

Questi sondaggi, che nello scorso dicembre erano arrivati a dare al «partito della libertà» di Wilders il 25% delle intenzioni di voto, hanno tenuto fino a oggi l'Europa col fiato sospeso e hanno suggerito all'elastico Rutte di riposizionarsi una volta di più. Consapevole di non poter regalare a Wilders il vantaggio di proporsi come il paladino della gente comune preoccupata dalla minaccia islamista, il premier-teflon ha cominciato a rivolgersi proprio a quella parte sensibile dell'opinione pubblica. Dunque certamente ricordando i successi economici conseguiti dal suo governo - che ha abbattuto debito e disoccupazione e consolidato la crescita economica -, ma soprattutto mostrando di avere a cuore chi vive nell'inquietudine.

Ecco dunque la lettera aperta agli immigrati pubblicata sui giornali in cui il premier invitava gli immigrati a «comportarsi normalmente oppure andarsene»; i divieti d'ingresso ai ministri turchi che pretendevano di tenere comizi elettorali in Olanda; i toni duri usati verso chi delinque e non rispetta «i valori nazionali».

A giudicare dai primi risultati di ieri sera, sembra

che la strategia abbia pagato. E che il coraggio di dire chiaramente che da una sconfitta dell'ambizioso Wilders sarebbe potuta passare un'inversione di tendenza e una ripresa dell'ideale europeo non sia stato mal speso.

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