Massimo Wertmüller: "La Lega non è il partito della cultura. E Draghi..."

L'attore Massimo Wertmüller ci offre un'analisi dell'attuale stato di salute del mondo della cultura e della politica

Massimo Wertmüller: "La Lega non è il partito della cultura. E Draghi..."

"Il mio cognome è stato un po' un peso e non un aiuto alla leggerezza perché sono sempre sotto i riflettori ed è come se pagassi virtù e difetti di quel cognome". L'attore romano Massimo Wertmüller, nipote della regista premio Oscar Lina, ripercorre la sua carriera artistica e ci offre un'analisi dell'attuale stato di salute del mondo della cultura e della politica.

Com'è nata la passione per la recitazione?

"È stata la vita che ha scelto il lavoro, non sono stato io a scegliermi il lavoro perché, se non mi fosse andata bene con questa professione, avrei fatto mille altre cose. Io ho anche altre passioni: disegno bene, anche perché ho avuto due genitori che dipingevano entrambi. Mio padre e mio nonno erano avvocati e io avrei potuto tentare quella strada e non mi sarei addolorato per questo. Ho cominciato con la passione per la fotografia, ma dopo una delusione, ho virato verso la recitazione perché a scuola facevamo le passioni di Cristo ed io, dietro a uno sgabuzzino, facevo la voce di Jacopone da Todi e già mi emozionavo".

Quanto è stata dura la gavetta?

"È come se dovessi rendere conto del mio cognome. Per costruirmi un'identità autonoma dal mio cognome ho faticato un 2% in più. Tutto iniziò quando, con degli amici di scuola, fondammo una compagnia e, mentre studiavamo, provavamo nei garage. La notte, nella famosa cantina di Mario Ricci, l'Abaco, mettevamo in scena degli spettacoli di Sartre, di Marlowe e altri. Quella umida palestra mi fece, però, capire che quella passione poteva trasformarsi in lavoro. Dopo di che ho iniziato a passare alcuni provini come quello per fare il ruolo che fu di Romolo Valli nell'unica riedizione del 'D'amore si muore' di Patroni Griffi il quale mi abbracciò commosso. Sono partito anche troppo forte, con Scola e Magni. Quel tipo di successo lì, poi, non ce l'ho più avuto. Il giro di boa arrivò a vent'anni quando feci il laboratorio di Gigi Proietti dove Antonello Falqui mi scelse per il gruppo comico La zavorra che vinse la rosa d'oro di Montreux, l'oscar del varietà".

Ha un ricordo di Gigi Proietti?

"Quando si finiva uno spettacolo e si andava a cena insieme e Gigi cantava fino all'alba al ristorante. Ricorderò sempre la sua urgenza e necessità di far star bene gli altri. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per far ridere la gente. Con lui lo spettacolo non finiva mai. Era molto generoso e amava insegnare ai giovani. Per un giovane che vuol fare l'attore non c'è miglior maestro dell'attore più bravo di tutti. Quando lui saliva sul palco, ci apriva tutte le porte della comprensione. Lui ci aiutava a leggere e capire i personaggi. Di lui mi porto la gioia in scena".

Qual è l'insegnamento più grande che le ha dato sua zia Lina?

"La preparazione, la disciplina e la cura. Affinché si possa essere sempre alle leve di comando della propria esistenza è bene prepararsi, incuriosirsi, studiare e leggere. E, poi, mi ha insegnato l'importanza dell'ironia e della leggerezza che io ho imparato male perché sono un po' 'pesantello'. Lei, invece, che è bella tosta e severa, è veramente una donna simpatica e leggera".

Qual è il suo film preferito, sia come spettatore sia come protagonista?

"Personalmente un personaggio come Eufemio che mi ha dato Luigi Magni per il film Nel nome del popolo sovrano difficilmente mi ricapiterà. Quello resta a cui devo di più. Come spettatore devo dire La grande guerra di Monicelli".

Chi è l'attore con cui si è trovato meglio recitare?

"Ho tanti amici amici cari e fare un nome solo sarebbe riduttivo. Se proprio devo, posso dire che Rodolfo Laganà, sin dai tempi della Zavorra, è uno degli attori con cui ho condiviso più complicità".

Teatro, cinema o televisione. Quale mezzo preferisce?

"Sono tre mondi diversi e interessanti e offrono tutti una bellezza e piacevolezza. Il minimo comune denominatore è la qualità. Se c'è quella, vanno bene tutti e tre. Certo, il teatro, in Italia, è stato considerato molto ingiustamente il parente povero degli altri due".

Come ha trascorso quest'anno caratterizzato dal covid e dalle quarantene?

"Ho riscoperto la solitudine e il rapporto con se stessi. Ho ritrovato la passione per il disegno e uso Facebook come una sorta di giornale per pubblicare le mie vignette. Ho riscoperto un me stesso che prima non ascoltavo. Mi manca il rapporto con gli altri e la socialità".

È stato giusto tenere chiusi i teatri per così tanto tempo?

"No perché c'era un solo caso su 300mila addetti. La scorsa estate ho fatto il teatro all'aperto e posso dire che era un posto sicuro. C'era da firmare un'autocertificazione, la misurazione della temperatura all'entrata e c'erano le distanze. Tutto questo riparava molto di più che al centro commerciale o dentro un autobus. A me è sembrato ingiusto e anche un po' preoccupante che la cultura sia stata così relegata in un posto non fondamentale per la comunità. Questo mi ha stupito e preoccupato, ma anche se noi potremo vivere solo di questo, questo Paese non ha mai investito in cultura. Se è vero che è un settore con un grande indotto, è incomprensibile questa mancanza totale di investimenti che ha portato alla nostalgia di maestri degli anni '60-'80 e che non ci sono più. Poi è arrivata la tivù commerciale e dei fattori che hanno portato a semplificare i gusti del pubblico, ma questo non impediva comunque a investire in cultura. Ma così non è stato".

Come si concilia la riapertura dei teatri col coprifuoco?

"Sono d'accordo con chi sostiene che non vale rischiare la vita per un'ora in più. E, anzi, io non avrei ancora riaperto perché i numeri non sono ancora buoni. Avrei fatto vaccinazioni a gogò e aspettato ancora un mesetto. Detto questo è evidente che c'è un'incongruenza su cui si deve ancora ragionare perché la magia del teatro all'aperto è il buio che viene squarciato dalle luci".

Ma perché in Italia la cultura è sempre stata in mano alla sinistra?

"È stato quasi sempre così. O, meglio, di quel poco che si è fatto se n'è sempre occupata la sinistra. Nessuno, in Italia, ha vietato alla destra di occuparsene. Non so perché sia così. Laddove c'è stato un governo di sinistra, c'è stato un vago interesse per la cultura. Generalizzando, forse, posso dire che alla destra interessa di più il settore economico che quello culturale. Non dimentichiamoci che qualcuno, a destra, disse “con la cultura non si mangia”, ma questo non è vero. Una società basata solo al sul Pil e sul denaro come centro focale dell'esistenza è pericolosissima".

Tra il governo Conte-bis e quello Draghi quale preferisce?

"Ci siamo trovati di fronte a un virus che prima non si conosceva ed è normale che una pandemia del genere, almeno all'inizio, cominci a gestirla confusamente. Poi, non parliamo dei disastri che sono avvenuti nella prima fase dentro le Rsa in Lombardia. Tutti i grandissimi errori che, poi, hanno portato a quel disastro possono essere comprensibili perché parliamo di un virus che non si è mai visto prima ed è inutile dire che qualcuno poteva fare meglio. Io credo che, pur con tutte le contraddizioni che ci sono state, Conte ha agito in modo serio e ci ha provato a mettersi sulle spalle una sanità colpita da tutti i governi precedenti. Non è una situazione facile da gestire, ma io non vedo un meglio. Vedo una politica tesa a screditare l'avversario con slogan facili per produrre consenso facile. Non è più l'epoca delle grandi ideologie, dei grandi partiti e dei grandi leader. Io, ora, guardo solo a chi mi parla di clima, ecologia, nuova economia verde e solidale e di diritti degli animali".

Quindi lei guarda a Conte?

"No, no. Non ho una preferenza appassionata. La situazione è complicata, ma Draghi, forse, si porta dietro un'autorità che altri non hanno e, quindi, se parla lui in Europa lo stanno a sentire. Questo non è poco, però è anche vero che Draghi rappresenta una visione solo prettamente economica del mondo e io sono contrario ai privatismi. Se l'interesse va a colpire la qualità della vita e la sanità pubblica, pensa al caso dell'ex Ilva di Taranto, io sto da un'altra parte. Per ora, posso dire che tutto questo meglio non lo vedo e spero che questi signori ci portino via da questo incubo e che Draghi ha un'autorità da spendere".

E di Salvini cosa pensa?

"Non è la politica che piace a me. Con Salvini sono tornati in auge certi argomenti e lui ha seminato su un terreno dove ha germogliato un nuovo razzismo, una nuova intolleranza, un nuovo odio. E, poi, la Lega certamente non è il partito della cultura, ma della reazione emotiva dovuta a qualcosa che non ha funzionato. Io, invece, condivido il confronto e il ragionamento. È tutto teso a una ricerca di consenso personale e questo non mi convince".

Da uomo di sinistra, è meglio Berlusconi o Salvini?

"Io non sono Che Guevara e oggi sono più verde che rosso. Ho sempre creduto che il socialismo sia la più grande idea di governo che sia mai stata partorita, ma non si è mai vista. Il comunismo è stata una dittatura militare, non il socialismo reale. La chiave sarebbe un socialismo che lascia il libero mercato e che ha un occhio sulla solidarietà sociale. Detto questo, tra i due non c'è dubbio: è meglio Berlusconi".

E la sinistra riparte da Fedez?

"No, Fedez ci ha messo la faccia e si è reso utile socialmente come nessuno ha mai fatto prima di lui. La sinistra, invece, è ancora intenta a ritrovarsi, c'è stato chi l'ha accompagnata nelle nebbia e ha perso molte coordinate che la rendevano individuabile al primo sguardo. È come quando devi rimettere in carreggiata un auto".

Come giudica il video di Grillo?

"Capisco il papà però oggi si dovrebbe spargere solo il seme della condanna senza nessun dubbio di un atto come lo stupro. In questo momento non è certo opportuno un video come quello. È sbagliato nella sostanza e nei modi. Non vuol dire nulla non aver denunciato subito. Può non averlo fatto per vergogna".

La più grande paura?

"A causa del covid ho perso un mio amico d'infanzia che mi manca da morire. Se n'è andato in dieci giorni e non hanno ancora capito come se la sia presa. Un anno fa ho subìto un intervento importante e la cosa che mi fa più paura è perdere la salute e rischiare di non essere più autonomo".

Un errore che non

rifarebbe?

"Se tornassi indietro, farei di tutto per tenere unito 'La Zavorra', il gruppo comico con Rodolfo Laganà. I guai sono arrivati quando ci staccammo da Antonello Falqui. Da quel momento lì abbiamo sbagliato tanto".

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