Mattarella convoca Conte ma si presentano Salvini e Di Maio. Salgono separati, un po' nervosi, però uniti nell'ultimo, estremo tentativo di accendere la macchina Jamaica. Niente da fare, il capo dello Stato non cede, la dichiarazione europeista di Paolo Savona è considerata blanda, «insufficiente» e troppo fumosa, soprattutto svicola sulla questione cruciale, il piano per uscire dalla moneta unica. Dunque nessun accordo, nessun governo, a Palazzo Chigi ci va Cottarelli e si torna a votare in un clima da faida. «Nessuno può sostenere che io abbia ostacolato il governo del cambiamento di Lega e M5s. Anzi, li ho agevolati in ogni modo, ho dato loro tutto il tempo richiesto - spiega il presidente - Ho persino accettato un premier tecnico per un esecutivo politico. Ma non potevo consentire che all'Economia ci fosse un ministro che vuole abbandonare l'euro».
Quindi Mattarella c'è riuscito, ha tenuto il punto. Lo ha fatto, prosegue, «per tutelare il risparmio degli italiani: negli ultimi giorni l'incertezza delle nostre posizioni ha posto in allarme gli investitori che hanno sostenuto i nostri titoli e l'impennata dello spread riduce le risorse statali e aumenta i mutui». Questo è «riaffermare concretamente la sovranità italiana». Poi c'è una questione di prerogative. «Il presidente della Repubblica svolge un ruolo di garanzia che non può subire imposizioni, è lui che deve firmare i decreti di nomina assumendosene la responsabilità. Ho accettato tutte le proposte tranne quella del ministro dell'Economia ma dai partiti ho registrato indisponibilità a qualsiasi soluzione».
Così alle 19, quando il premier incaricato è arrivato, i giochi erano già fatti. Il professore aveva con se' la lista dove Savona figurava comunque ministro dell'Economia, senza se e senza ma, senza mediazioni e senza le ipotesi alternative fiorite nella giornata, dallo spostamento alle Politiche comunitarie allo spacchettamento del ministero: a lui le Finanze, cioè le tasse, a un altro il Tesoro, ossia i rapporti con la Ue. Tutto inutile, dopo 85 giorni è la rottura, il tilt di sistema, il corto circuito istituzionale. Alle otto di sera Giuseppe Conte ha rimesso il suo mandato, ora sotto con Carlo Cottarelli che ci porterà alle elezioni in autunno.
«Mattarella ha posto il veto su Savona», dicono in serata dai quartier generali di Lega e M5s, preparandosi a una campagna che avrà il Colle nel mirino. «In Costituzione non ci sono veti, semmai irrigidimenti delle forze politiche», replicano dal Quirinale. Ed è proprio questo il cuore del discorsetto che il capo dello Stato ha fatto nel due colloqui con Salvini e Di Maio: i ministri li propone il presidente incaricato e li nomina il presidente della Repubblica. Se ritiene un candidato non idoneo o non in linea con gli impegni internazionali del Paese, ha il dovere di rifiutarsi di controfirmare la nomina. Punto. Il resto, visto dal Palazzo dei Papi, sono forzature e indebite ingerenze. E nonostante le varie possibilità di trovare un accomodamento, Carroccio e Cinque stelle non hanno mai realmente preso in considerazione delle soluzioni subordinate. Savona, teorico dell'uscita dall'euro, poteva sedere ovunque ma non sulla poltrona che fu di Luigi Einaudi.
Il giro in taxi del professore foggiano finisce così mestamente dopo cinque giorni in un caldo tramonto romano senza mai essersi avvicinato a Palazzo Chigi.
All'uscita poche parole e nessuna polemica: «Ringrazio il capo dello Stato per la fiducia. Ho profuso il massimo sforzo con la collaborazione completa delle due forze politiche che mi hanno indicato». E che adesso chiedono l'impeachment di Mattarella.
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