Dice che «è arrivata per una serie di fattori», d'altra parte è tipico della depressione non avere una causa concreta, ed è ancora più tipico non riuscire a centrarne il vero motivo. Parla della pandemia, dei conflitti razziali scatenati nel suo Paese dall'atroce uccisione di George Floyd, dell'amministrazione Trump che la fa sentire l'ingiustizia e l'impotenza e «l'ipocrisia»... Sono tante le cose che tolgono il sonno a Michelle Obama, che l'avvolgono nella nebbiolina indistinta di giorni tutti uguali e senza senso, che le fanno arrivare la vita addosso al rallenty e la fermano lontana, e poi l'avvicinano poco e attutita, che è ancora più crudele perché è così che si sa di non riuscire ad afferrarla. Come quando si è sdraiati su un lettino pre-opertaorio con l'anestesia che inizia a fare effetto. Sembra faticoso anche respirare. Figuriamoci alzarsi e vivere. Nel corso di un'intervista rilasciata a Michele Norris per il nuovo progetto dell'ex first lady, lanciato a luglio, «The Michelle Obama Podcast», (una serie di podcast su Spotify, con conversazione con amici, parenti e volti noti) Michelle cerca di ricostruire il suo punto di rottura, l'inizio della depressione, l'origine di tutto. E per farlo, come si è detto, tira in ballo, i principali accadimenti di cronaca degli ultimi tempi: il covid, Trump e la questione razziale... Ma forse, come spesso accade, quello di cui si parla più facilmente, non è quello di cui varrebbe davvero la pena parlare. Non che ci sembri impossibile che Donald funesti i sonni dell'avvocatessa, solo pensiamo che a calarsi così a fondo nell'inconscio di chicchessia non basti nemmeno un presidente degli Stati Uniti. O forse, nel caso di Michelle basta perché lui è il «nuovo» presidente degli Stati Uniti?
I commentatori si sono affrettati nello stupore: ma come, una donna così abituata a stare al centro, a domare i riflettori, che si ripiega su se stessa nel tempo di un lockdown? E se fosse proprio il fatto di non aver più riflettori da domare a togliere colore ai giorni di Miss Obama? Dopo il trasloco dalla Casa Bianca, nel 2018, è uscita con una biografia per raccontarsi «Becoming. La mia storia», adesso apre il suo progetto con una serie di autoconfessioni: prima l'amore per Barack, ora il male oscuro che l'avvolge. In mezzo c'è stato di tutto: visite semi ufficiali, esternazioni varie, libri sugli orti, cambi di pettinature, un ruolo da influencer per le presidenziali 2020... E se il male oscuro fosse in realtà il timore di un cono d'ombra? O l'incapacità, tutta nuova, dopo essere stata la prima first lady nera, di starci, in un cono d'ombra? Una crisi da mancanza di «stress da prestazione» amplificato proprio dal momento più immobile e buio della storia? «Cerco di combattere il mio stato d'animo con la routine, ma ho problemi di sonno, spesso mi sveglio nel cuore della notte, come se fossi preoccupata per qualcosa e con un senso di pesantezza» racconta Michelle alla giornalista e al mondo intero. L'anonimato ha il sapore dei posti sbagliati. E non andrebbe sottovalutato, dalla signora Obama e da nessuno, lo choc di passare dal centro del mondo al divano di casa propria. Viene voglia di restare fermi lì e abbassare la testa a guardare i sogni sparsi sul pavimento.
Specie se chi ti succede, chi si accomoda al posto tuo (perché è evidente da sempre che Michelle si è sempre ritenuta più presidente che first lady), è l'opposto di te e non gode della tua stima. Non è poi così oscuro, quel male. Se ci guardi dentro.
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