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Migranti, balneari, Pnrr. Gelo Meloni-Salvini sui fronti caldi con l'Ue

La premier: "Immigrazione tema nostro, non della Lega". Il compromesso con il Quirinale

Migranti, balneari, Pnrr. Gelo Meloni-Salvini sui fronti caldi con l'Ue

«L'immigrazione è un tema nostro, certo non possiamo lasciarlo alla Lega». Mentre al Senato va in scena il dibattito sul cosiddetto decreto Cutro - con il Carroccio che da giorni non perde occasione per piantare, a suon di emendamenti, quelle che autorevoli esponenti di governo non esitano a definire «bandierine» - Giorgia Meloni inizia a perdere la pazienza. L'imbuto, d'altra parte, si fa sempre più stretto. E dentro ci sono dossier delicatissimi, sul fronte europeo e sul versante interno. Dalla questione balneari (domani è attesa la pronuncia della Corte di giustizia europea sulle concessioni) al Mes (a Bruxelles, il fatto che l'Italia sia l'unico Paese dell'area euro a non averlo ratificato sta diventando un vero e proprio caso, con la Germania a fare da capofila di un'Europa che ci accusa di mettere a rischio tutto il sistema bancario). Poi c'è il Pnrr, con la Lega che - è la percezione di Palazzo Chigi - sottovaluta quanto i distinguo sul tema possano essere esplosivi, sia sul fronte comunitario che su quello interno. Dove il dossier davvero divisivo, sottotraccia e senza una conflittualità a favore di telecamere, è quello dei migranti, con il decreto in discussione al Senato.

Tutti fronti su cui Meloni e il suo vicepremier Matteo Salvini sono sempre più distanti. Tanto che in privato la premier non lesina critiche durissime, sollecitando i suoi a fare quadrato. Perché il Carroccio, è la convinzione della presidente del Consiglio, «è ormai in modalità campagna elettorale». Quella che guarda alle amministrative di metà maggio, quando andranno al voto poco meno di ottocento Comuni (tra cui 17 capoluoghi di provincia e uno di regione). Detta così pare un dettaglio, soprattutto in una prospettiva di governo che dovrebbe guardare avanti negli anni e puntare alle Europee 2024, appuntamento in cui Meloni potrebbe riscrivere gli equilibri di Bruxelles se davvero andasse in porto un'intesa tra il Ppe e i Conservatori di cui la leader di Fdi è presidente.

Eppure tra i due - Meloni e Salvini - il braccio di ferro, seppure sottotraccia, è già oggi piuttosto serrato. Il decreto Cutro e la voglia della Lega di mostrarsi come il guardiano della fermezza che strizza l'occhio ai decreti Sicurezza del Conte 1 è infatti solo la punta dell'iceberg. La scorsa settimana, per dire, quando alla Camera è stato approvato in via definitiva l'equo compenso - tema su cui Meloni si spende da anni - il primo a metterci il cappello è stato proprio Salvini, con un tweet in cui rivendicava il successo di una «battaglia storica della Lega». Chi era in compagnia della premier quando le è stato letto il post del suo vicepremier, non esita a descriverla come «fuori dalla grazia di dio».

D'altra parte, i due hanno ormai da molti anni un equilibrio complicato (fino allo scorso ottobre le incomprensioni, politiche e personali, sono state innumerevoli). Con Salvini che oggi si muove con discrezione, ma nella consapevolezza di non avere ruoli di prima fila né con l'Ue né sul fronte immigrazione. A differenza di Meloni, che da Palazzo Chigi deve evidentemente conciliare le sue convinzioni con la necessità istituzionale di tenere aperto un canale con l'Ue.

Una mediazione difficile. Un lavoro di equilibrismo, tanto che per far scattare l'allarme a via della Scrofa è bastato che nelle elezioni a Udine di domenica scorsa la Lega e la civica del candidato sindaco del Carroccio abbiano superato Fdi. Un voto che ha coinvolto meno di novantamila aventi diritto. Una goccia nel mare, eppure a Palazzo Chigi se n'è parlato. A testimonianza che la competizione a destra è un tema sensibile. Forse è anche per questo che il ministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida, apre il fronte del complotto della «migrazione etnica». Mentre Meloni, alla fiera del mobile di Milano, spiega che «per creare manodopera non servono gli immigrati ma far lavorare di più le donne».

D'altra parte, sul decreto Cutro Palazzo Chigi sta abbassando i toni anche perché la premier tutto vuole fuorché arrivare a un voto di fiducia che il Colle non gradirebbe affatto. Rilanciare per sparigliare (e mediare).

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