"Montanelli? Macché razzista Contro Indro odio ideologico"

Lo scrittore: "È sempre stato scomodo. Ma perdonò le Br che gli spararono e al collo portava una croce di Dachau"

"Montanelli? Macché razzista Contro Indro odio ideologico"

Giorgio Torelli ha novantadue anni, il baffo di sempre e la verve di un ragazzino. È un pezzo di storia del Giornale, una delle sue firme migliori degli anni di combattimento, uno dei primi imbarcati nella grande avventura, il testimone di nozze di Montanelli. Racconta una storia che è un po' anche la sua.

Giorgio, cosa pensa di questa storia di rimuovere la statua di Montanelli?

«È una storia senza senso, figlia del furore ideologico che lo accompagna da sempre».

Anche negli anni Settanta era così.

«Negli anni di piombo la sinistra ci voleva morti perché denunciavamo le loro violenze e le loro malefatte. Assaltarono anche la sede del Giornale. Furono i tipografi comunisti a respingere l'attacco altrimenti avremmo fatto una brutta fine».

Per questo eravate armati?

«Tutti, compreso l'addetto alle necrologie».

Anche Indro?

«Anche lui. Ma si scordava sempre la pistola da qualche parte anche in bagno: meno male che quando i brigatisti rossi gli spararono non reagì sennò lo avrebbero ucciso».

Proprio lì dove adesso c'è la sua statua.

«Si aggrappò alle inferriate dei Giardini che adesso portano il suo nome. Pensava, come diceva Kilping che lui amava moltissimo: Se devo morire voglio morire in piedi».

Poi però perdonò i terroristi che gli spararono e li aiutò anche nella vita.

«Li perdonò perché aveva capito che erano stati travolti come questi di oggi dal mostro della loro ideologia».

Ma Indro era razzista?

«Non scherziamo. La sua cultura liberale glielo impediva. Era razzista semmai con i comunisti...».

E com'è la storia allora?

«Montanelli comandava un gruppo di ascari, truppe coloniali italiane che non portavano le stellette, ma erano soldati a tutti gli effetti. Etiopi, somali a volte yemeniti».

E le loro donne?

«Le donne seguivano i loro uomini a un chilometro di distanza. Quando si attendavano li raggiungevano. Indro era l'unico da solo. Furono i capi ascari a decidere che tutti gli uomini dovessero avere una compagna. Il loro costume era quello: bisogna sempre capire il contesto storico».

E Destà?

«Aveva 14 anni e a quell'età aveva già la maturità femminile. A 16 molte avevano già due o tre figli».

Fu comprata?

«Non era così. Siccome con il matrimonio si sottraeva al padre una forza lavoro si procedeva a una specie di risarcimento: cammelli, capre, cavalli».

E Indro?

«Lui Destà l'ha sempre ricordata con tenerezza, conservava persino un suo ritratto nello studio. Andò a cercarla nel dopoguerra: aveva sposato un attendente eritreo e aveva avuti tre figli, l'ultimo lo aveva chiamato Indro. Le pare che se fosse stata vittima di una violenza lo avrebbe chiamato così?».

Lei è stato anche testimone di nozze.

«Quando Montanelli si sposò con Colette Rosselli gli regalai una croce in smalto costruita delle monache carmelitane del campo di concentramento di Dachau. Indro la portava sempre con sè».

Lui stesso finì in galera.

«Fu arrestato dai nazisti e incarcerato a San Vittore».

Come avrebbe commentato tutta questa storia?

«Con ironia. Diceva: le onorificenze bisogna soprattutto non meritarsele...».

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