Non c'è niente da fare. Ci risiamo. Per Mario Monti i concetti di democrazia, di libertà d’espressione e di informazione sono quantomeno fastidiosi. E non è necessario rivangare il piglio decisionista, accademico ed a tratti paternalista con cui, da presidente del Consiglio nel lontano 2012, impartiva lezioni di economia agli italiani da Palazzo Chigi.
Un periodo di governo molto breve nel quale, tuttavia, le cosiddette politiche di austerity, se da un lato hanno portato ben pochi benefici alle casse dello Stato, dall’altro hanno invece determinato un vero e proprio disastro economico per famiglie ed imprese italiane.
Ma Monti già allora ricordava pubblicamente come la sua forza “nasce dal fatto di non dover essere sottoposto al voto”. Una situazione, questa, che ha accompagnato il “professore con il loden” lungo l’arco di tutta la sua carriera.
“Un uomo – raccontavamo nel 2012 insieme ad Augusto Grandi ed Andrea Marcigliano nel pamphlet “Il Grigiocrate” – abituato ad essere nominato e non eletto. A dispetto della formazione liberale e democratica, dimostra una certa allergia ai sistemi elettivi e ai meccanismi di delega rappresentativa, espressione della volontà popolare”. Ed ecco che i lavori parlamentari si trasformano, in quest’ottica, più in un fastidioso impedimento che in un confronto costruttivo e il dialogo con le parti sociali diviene una pedante anticaglia della vecchia politica di concertazione. Ciò che si deve fare è ben chiaro ai tecnici del governo fin dalla loro nomina. Anzi, nel caso di Monti, anche prima. In molti editoriali pubblicati sul “Corriere della Sera”, infatti, Mario Monti aveva tracciato le linee direttrici della sua visione sulla politica economica per l’Italia di domani. Ma c’è un fatto singolare, confidato da Giacomo Vaciago, suo stretto collaboratore: “Monti al programma di governo ci lavorava da quattro mesi”, accreditando così l’ipotesi di un intrigo, una congiura di palazzo per rovesciare il governo di Silvio Berlusconi, avvenuta tempo prima delle dimissioni del Cavaliere, costretto poi a cedere il passo sotto la pressione congiunta del Quirinale e dell’attacco speculativo ai titoli di stato italiani da parte dei mercati finanziari internazionali.
Un atteggiamento distaccato ed apatico, quello di Monti, sottolineato in quegli anni anche dall’edizione tedesca del “Financial Times” in un paginone a firma del corrispondente dall’Italia, Tobias Bayer, che lo descrive come “i gentiluomini grigi del libro per bambini “Momo” di Michael Ende: incolore, privo di fantasia e insensibile”. Ecco, il Grigiocrate per l’appunto.
Un tecnocrate insofferente agli “eccessi” della democrazia che, anche recentemente, non ha mancato di confermare la sua avversione alla libertà di informazione e alla convinzione che i cittadini non siano in grado di effettuare scelte politiche consapevoli. Meglio i tecnici insomma. L’importante è che non vengano “disturbati” dalle superate e fastidiose pratiche democratiche.
Un’alterigia mista a spocchia professorale che ha ribadito più volte negli ultimi giorni alla trasmissione “In Onda” (La 7). Senza temere di passare per presuntuoso, infatti, l’ex presidente del Consiglio prima ha attaccato l’“eccesso di informazione” sul Covid per poi scagliarsi contro la “capacità molto bassa del popolo italiano nell’esprimere un orientamento politico”. Dichiarazioni che nemmeno parlando del Burkina Faso sarebbero accettabili e che, invece, finiscono per passare quasi inosservate perché permane negli organi di informazione mainstream un certo timore reverenziale non solo nei suoi confronti ma anche in quelli della sua più stretta cerchia. Un ex commissario europeo che, nel frattempo, ha ricevuto una nuova – l’ennesima – nomina quale direttore della neonata Commissione Pan-Europea sulla Salute e lo Sviluppo sostenibile dell’OMS.
Con il consueto stile di “sobrietà” ha affermato che “se ogni canale televisivo dedica 15 ore al giorno al tema pur fondamentale del Covid, forse c’è un eccesso di informazione”. Quindi meglio far passare poche informazioni, calate dall’alto e rendere impossibile qualsiasi discussione sulle drammatiche conseguenze sanitarie ed economiche della pandemia. Nessun ragionamento sui vaccini, nessuna considerazione sulla validità ed efficacia delle misure restrittive poste in essere dal governo. Niente di niente. Al limite, paragonando l’attuale emergenza allo stato di guerra, Monti ha proposto “momenti istituzionali a reti unificate e accordo volontario di auto-disciplina tra le televisioni”. Inutile gridare al regime. Inutile parlare di palese volontà di violare la libertà di informazione proponendo i cinegiornali di guerra. Se lo dice Mario Monti, tutti zitti e buoni. Roba da Maneskin insomma…
Non pago di queste sortite, il nostro Grigiocrate si lancia in un attacco proditorio agli elettori italiani. “Qui c’è un problema di fondo – ha osservato Monti – ed è lo scarso livello di educazione e di preparazione del popolo italiano. (…) Non vorrei che ci fossero equivoci: ognuno ha il diritto di voto, che è sacrosanto, ma il livello culturale scarso degli italiani si ripercuote anche sui giudizi politici di questi ultimi. È una lacuna grave e storica dell’opinione pubblica italiana”.
Nessun equivoco quindi. Siccome mediamente gli italiani sono ignoranti ed impreparati, anche il loro voto ha uno scarso valore e, di conseguenza, i giudizi politici dei cittadini possono passare in secondo piano.
Una sola annotazione a margine: visto che uno dei grandi temi di questi anni è la cosiddetta “fuga di cervelli” all’estero, ciò significa che in Italia i cervelli ci sono e vengono lautamente retribuiti quando vengono assunti da università ed imprese straniere. Questo è merito anche delle istituzioni scolastiche italiane che saranno pur fatiscenti da un punto di vista infrastrutturale ma che, evidentemente, consentono ancora un eccellente livello di preparazione.
Saranno proprio questi cittadini competenti ed informati a farsi un’idea delle dichiarazioni del professor Monti. Chissà che finiranno per applicare anche a lui la politica del rigore nel valutare il suo democraticissimo pensiero.
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