Mai fatti i controlli sulla fune traente, vicino al punto in cui si innesta nel carrello, della funivia del Mottarone. Infatti quando la fune si spezzò, facendo precipitare la cabina e causando 14 morti, era lesionato ben il 68 per cento dei fili che la componevano. Ieri la Procura di Verbania ha chiuso l'inchiesta sulla tragedia del 23 maggio 2021 per otto indagati, in vista della richiesta di rinvio a giudizio. Le accuse sono a vario titolo di disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni colpose gravissime, attentato alla sicurezza dei trasporti, rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e, solo per Gabriele Tadini ed Enrico Perocchio, anche falso.
Nella tragedia di due anni fa morirono 14 persone, tra cui due bambini. Il solo sopravvissuto, anche se ferito gravemente, fu il piccolo Eitan, di 6 anni. Destinatari dell'avviso di conclusione indagini sono Luigi Nerini, titolare della Ferrovie del Mottarone, Perocchio, direttore d'esercizio, Tadini, capo servizio, e, per Leitner, società altoatesina incaricata della manutenzione, Anton Seeber, presidente del Cda, Martin Leitner, consigliere delegato, e Peter Rabanser, responsabile del Customer service. Indagate anche le due società coinvolte, che per gli inquirenti hanno avuto «interesse» e «vantaggio» consistito nel «risparmio» in termini di investimenti. Si va verso l'archiviazione invece per sei tecnici esterni la cui posizione è stata stralciata. Nell'avviso di conclusione delle indagini i pm scrivono appunto che non furono effettuati i «controlli a vista mensili sul tratto di fune traente in prossimità del punto di innesto al carrello (testa fusa), previsti dal manuale d'uso e manutenzione» e dal «regolamento di esercizio». Quindi non vennero rilevati i «segnali di degrado della fune (....)», che invece «si deteriorava progressivamente, sino a rompersi», proprio in corrispondenza dello stesso punto d'innesto in cui «presentava il 68% circa dei fili» lesionati. Le indagini, condotte dai carabinieri, sono state coordinate dal procuratore Olimpia Bossi e dal pm Laura Correra. Dai primi accertamenti subito erano emerse le due cause del disastro: il cavo tranciato e il mancato funzionamento del sistema frenante di sicurezza. I freni di emergenza non entrarono in funzione per bloccare la cabina, come invece doveva essere, dopo la rottura della fune, perché erano stati volutamente disattivati, applicando alcuni «forchettoni». Questo in quanto nei giorni precedenti l'impianto frenante aveva dato problemi scattando a vuoto. Così la cabina numero 3 carica di passeggeri tornò indietro a folle velocità e poi si schiantò a terra da un'altezza di 17 metri.
«Sapere che ben sei persone e due società possano essere individuate quali responsabili di questa immane tragedia ci lascia amareggiati», ma «la chiusura delle indagini per le otto posizioni non può che farci auspicare un concreto segnale, soprattutto dalla Leitner, dai suoi amministratori e dipendenti, per il risarcimento nei confronti dei parenti delle vittime, ancora scossi, soprattutto in questi giorni». Così hanno commentato la notizia gli avvocati Giuseppe ed Emanuele Zanalda, difensori della famiglia Biran, ramo paterno di Eitan, il bambino sopravvissuto all'incidente, oggi affidato alla zia paterna.
«Auspichiamo che si giunga quanto prima alla fase dell'udienza preliminare sede in cui potremo far valere i diritti e le ragioni del piccolo Eitan affinché venga integralmente risarcito per i danni patiti in questa assurda ed evitabile tragedia», aggiunge l'avvocato Fabrizio Ventimiglia che con il collega Enzo Tino assiste il piccolo.
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