
Un paio di giorni per organizzare le idee e riprendersi dalla batosta della Cassazione - che lunedì ha annullato la sua assoluzione, quella di suo figlio e di sua moglie per l'omicidio di Serena Mollicone, disponendo un nuovo processo - ed eccolo davanti ai giornalisti, convocati dal pool difensivo, a spiegare perché non può essere lui l'assassino della 18enne uccisa ad Arce nel 2001. Il maresciallo Franco Mottola, ex comandante della stazione dei carabinieri del paese della provincia di Frosinone, dice nonostante tutto di avere fiducia nella giustizia, ma avverte che c'è «un assassino ancora in giro». E questo perché gli investigatori si sarebbero fossilizzati sulla sua famiglia tralasciando tutto il resto.
Mottola si sofferma sulla figura del brigadiere Santino Tuzi, morto suicida sette anni dopo l'omicidio. Fu lui a collocare Serena nella caserma dove la 18enne sarebbe stata uccisa dai Mottola perché voleva denunciare il figlio Marco, accusato di spacciare droga. La testimonianza del brigadiere non è però mai stata ritenuta attendibile dai giudici, che in primo e secondo grado hanno disposto l'assoluzione per tutti gli imputati. «Tuzi - sostiene ora Mottola - era una persona che sembrava emotiva e non so perché dopo tanti anni ha fatto queste dichiarazioni. Se è vero che la mattina aveva visto Serena entrare in caserma perché - si chiede il brigadiere - la sera, quando è venuto a prendere servizio e ha trovato Guglielmo Mollicone (il padre della ragazza, ndr) che stava facendo la denuncia, non ha detto io stamattina l'ho vista qua? Sbaglio o doveva essere la prima cosa da dire? Invece non ha parlato di niente. Poi lui e il collega sono usciti con me: siamo andati a casa di Mollicone per vedere di trovare qualche traccia. In quel momento non si ipotizzava niente di così tragico. Lui stava lì e non ha detto nulla. Poi dopo 7 anni esce fuori io quella mattina l'ho vista. Può essere attendibile?».
Il maresciallo dice che anche a loro erano venuti dubbi leggendo la sentenza cassata lunedì dalla Suprema Corte. «Però - spiega - essendo una sentenza che confermava e si avvaleva di quella di primo grado, molto esaustiva, avevamo pensato che quello che mancava nel dispositivo poteva essere trovato in quello della Corte d'Assise di Cassino. Poteva essere un'interpretazione e invece è stata interpretata in un altro modo.
È andata così, ce ne facciamo una ragione e affrontiamo questo secondo appello». Insomma si ricomincia. Non appena saranno depositate le motivazioni gli avvocati si metteranno al lavoro per capire quali sono i punti che devono sono approfonditi per il nuovo processo.
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