Moussa e la fine di Sharon. "Scusa, sto per ucciderti"

La confessione del killer: "L'ho accoltellata e lei mi ha chiesto soltanto perché?. L'ho scelta a caso, ho avuto una sensazione"

Moussa e la fine di Sharon. "Scusa, sto per ucciderti"
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Guardava le stelle Sharon quella notte. Il naso all'insù e la musica nelle orecchie. Chissà quale canzone stava ascoltando. Non poteva immaginare che sarebbe stata l'ultima della sua vita. Non poteva sapere che da qualche secondo era seguita da Moussa Sangare, arrivato in bicicletta da Suisio a Terno d'Isola con l'intenzione di colpire qualcuno.

Qualche minuto prima ci aveva già provato con due ragazzini, uno dei quali indossava una maglia del Manchester: lui li minaccia con uno dei coltelli che ha portato con sé. Poi sceglie Sharon, che sta camminando con le cuffiette e gli occhi rivolti al cielo. Per la barista è un momento di relax, per tenersi in forma e sfuggire all'afa di fine luglio.

«Scusa per quello che ti sto per fare». Sono le parole che Moussa Sangare avrebbe detto a Sharon prima di accoltellarla a morte. Poi i quattro fendenti alla schiena e al petto, mentre la 33enne chiede disperatamente «Perché? Perché? Perché?». Ma un perché non c'era. Solo quell'impulso di dover accoltellare qualcuno, dopo essersi tanto esercitato con una sagoma di cartone a casa. La banalità del male.

«Dentro di me ho sentito un feeling». Sono agghiaccianti le parole dette da Sangare ai carabinieri di Bergamo, coordinati dal pm Emanuele Marchisio, per raccontare le fasi dell'aggressione. Lucide e agghiaccianti. Nell'interrogatorio il killer, con un linguaggio da rapper, usa quell'espressione da brividi: «Uscire col feeling», che vuol dire «con una sensazione. Rivela che era uscito un'ora prima dalla casa occupata in cui viveva da qualche mese e dopo aver incrociato Sharon in via Castegnate, ha raggiunto piazza VII Martiri per sorprenderla alle spalle, sempre sulla sua bicicletta. Prima di colpirla l'ha afferrata a una spalla e le ha chiesto scusa, poi l'ha accoltellata da dietro verso il petto, perché voleva puntare al cuore. Ma la lama è «rimbalzata» forse su una costola e allora, mentre Sharon tentava di divincolarsi, l'ha raggiunta con le tre pugnalate, mortali, alla schiena.

Quella sera del 29 luglio non aveva bevuto né si era drogato, sostiene Sangare, cosa che invece ha fatto nei giorni successi al delitto, quasi per stordirsi.

Quella sera, però, qualcuno a Terno d'Isola lo vede. Sono due ragazzi italiani di origine marocchina, intorno a mezzanotte sono fermi tra la farmacia e il cimitero a parlare. «Sono passati due nordafricani in bicicletta, poi un terzo hanno raccontato a Repubblica -. Lui ci è rimasto impresso, perché era un po' strano. Aveva una bandana in testa e un cappellino, uno zaino e gli occhiali. Ci ha fissato a lungo e poi ci ha fatto una smorfia». Saranno loro i due testimoni chiave che incastreranno l'assassino di Sharon Verzeni.

Più emergono dettagli dell'omicidio di Terno d'Isola e più pare tutto incredibile: le coincidenze, la casualità, le variabili, l'inspiegabilità dell'atto.

Dopo la confessione choc, Moussa Sangare ha trascorso le prime due notti in carcere a Bergamo: solo in cella, sotto stretta vigilanza e seguito dagli psicologi dell'istituto penitenziario. Chiuso nel silenzio, l'assassino aspirante rapper avrebbe solo bevuto e sarebbe «frastornato» - stando alle parole del suo legale Giacomo May.

Proprio nel carcere di via Gleno si terrà domani l'interrogatorio di convalida del fermo del reo confesso 31enne, accusato di omicidio aggravato dalla premeditazione dai futili motivi. Davanti al gip Raffaella Mascarino dovrà ripetere il suo macabro racconto.

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