Mps è tornata all'utile. Ma senza Unicredit Siena non ha un futuro

L'ad Bastianini esclude un "no" alla fusione. Giacomoni (Fi): "Lasciamo decidere Draghi"

Mps è tornata all'utile. Ma senza Unicredit Siena non ha un futuro

«La banca non ha rivisto il proprio capital plan (il programma di fabbisogno di capitale; ndr), le priorità vanno verso una soluzione strutturale, e in questa prospettiva l'avvicinamento con Unicredit è il più utile». L'amministratore delegato del Monte dei Paschi, Guido Bastianini, ieri durante la conference call di presentazione dei risultati semestrali si è allineato al ministro dell'Economia, Daniele Franco, confermando che «al momento la banca è totalmente concentrata sulla soluzione strutturale e non sta lavorando su un ipotetico aumento di capitale». Insomma, la speranza è quella di non dover varare, grazie a una fusione, la ricapitalizzazione da 2,5 miliardi di cui ci sarà necessità entro il primo semestre 2022.

E, d'altronde, Mps qualche sorpresa l'ha riservata anche ai suoi azionisti. Il secondo trimestre si è chiuso inaspettatamente in utile (82 milioni) portando il totale dei primi sei mesi a 202,1 milioni di euro. Di questi tempi l'anno scorso la perdita aveva già superato il miliardo. Bene anche il risultato operativo (+30% annuo a 490 milioni, il migliore del quinquennio) e i ricavi (+7,7% a 1,5 miliardi), trainati da commissioni e trading. I crediti deteriorati sono aumentati, ma di poco (+200 milioni a 4,2 miliardi) e anche la solidità patrimoniale è discreta. La Borsa ha apprezzato e il Monte ha guadagnato il 4,85% a Piazza Affari.

Le buone notizie, però, finiscono qui. Mps registra un indice costi/ricavi del 68,5% (valore che sale al 73,5% se si calcola il rapporto tra costi operativi e ricavi primari), dati comunque al di sopra di quanto chiesto dalla Commissione Ue che aveva preteso maggiori efficienze. Insomma, la struttura del Monte «mangia» oltre due terzi dei ricavi e fare utili così è complicato anche perché la banca ha una quota di mercato nazionale del 3,8% nella raccolta e del 4,5% nei finanziamenti. Ha un corpo da medio-grande istituto (oltre 21mila dipendenti) ma con una competitività ridotta. E soprattutto Mps non ha il capitale necessario per rifinanziare il Fondo esuberi (tutto a carico della banca, ndr) per ulteriori esodi anticipati.

Questa analisi ci riporta ai contenuti delle recenti polemiche politiche. Ieri è stato Sestino Giacomoni del coordinamento di presidenza di Forza Italia a rompere gli indugi. «Occorre tutelare l'interesse del Paese, dei risparmiatori, dei lavoratori, del territorio e dei contribuenti italiani e soprattutto evitare il conflitto di interessi di una parte politica, ha dichiarato aggiungendo che «farebbe bene il Pd a riconoscere gli errori fatti in questi anni ed evitare, lasciando decidere al governo Draghi la soluzione migliore da adottare, seguendo ovviamente le regole del mercato».

Un ammonimento alle tentazioni stataliste del Pd che, per vie traverse, sta cercando di tenere in piedi quel che resta del «sistema-Siena» gravitante sull'asse banca-partito. Ma anche uno scatto di reni rispetto a un centrodestra che continua a utilizzare il termine «svendita» più che «salvataggio».

Matteo Salvini, infatti, ieri ha auspicato che «con i soldi pubblici, non si favoriscano ancora una volta banche private, sacrificando migliaia di lavoratori e chiudendo centinaia di sportelli» e invocando le dimissioni del presidente di Unicredit ed ex ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan. Andrea de Bertoldi (Fdi) ha invece insistito sulla «creazione di un terzo polo che abbia, magari, come bacino di riferimento il Centro-Sud e che veda Mps come perno» assieme a Mcc e Popolare di Bari.

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