San Paolo. Era la fine del 2013 quando la rivista colombiana Semana, organo di stampa molto quotato ma che è di fatto controllato dalla famiglia dell'ex presidente Juan Manuela Santos, faceva cancellare un articolo che denunciava le attività criminali di Alex Saab in Venezuela, l'uomo che sta facendo tremare mezzo mondo e che, attualmente, è in un carcere di Capo Verde in attesa di essere estradato negli Stati Uniti. Quell'articolo finiva con la seguente domanda, «La grande domanda è: perché i vertici del governo colombiano hanno riconosciuto l'autorità del signor Saab nella firma di un contratto ufficiale tra lo stato colombiano e quello venezuelano?».
Mentre ancora oggi si attende una risposta dal Nobel per la Pace Santos che, assicura il giornalista peruviano Jaime Bayly, «fu personalmente responsabile di presentare Saab all'ex presidente Chávez», anche l'Italia ha un ruolo in questa vicenda attorno alla quale girano miliardi di dollari frutto della corruzione e del narcotraffico transnazionale. Già perché il narcoimprenditore colombiano di origini libanesi che, grazie a un passaporto diplomatico venezuelano, ha continuato a girare il mondo in piena pandemia a Roma, dove era domiciliato fiscalmente ai Parioli, aveva un bel pied-á-terre, in Via Condotti. Non intestato, naturalmente a lui ma alla sua compagna, la modella Camilla Fabri. Lei, giovane romana, faceva la commessa con uno stipendio di 1.800 euro al mese ma, per le indagini della nostra Guardia di Finanza su Saab, iniziate nel 2018, è finita nel mirino del fisco perché non poteva giustificare un appartamento di 5 milioni di euro in una delle zone più lussuose della nostra capitale. Al momento Camilla è indagata per un giro di riciclaggio transnazionale e ha fatto perdere le sue tracce forse, dicono alcuni, sarebbe in Russia. I soldi di Saab erano comunque sporchi e, naturalmente, partivano dalla narcodittatura venezuelana di Maduro per poi, tramite giri vari tra Dubai e Gran Bretagna, finire in Via Condotti. La punta dell'iceberg, questa, di uno scandalo planetario.
Nei loschi affari di Saab c'è molto di più, a cominciare da nomi eccellenti della politica colombiana come in primis «Teodora Bolívar», questo il nome di battaglia da guerrigliera trovato nel computer dell'ex ministro degli esteri delle Farc, Raúl Reyes, della senatrice colombiana Piedad Cordoba. Grande amica di Chávez nonché paladina insieme a Santos, che perciò vinse anche un Nobel per la Pace, degli accordi di pace tra lo Stato colombiano e la più antica guerriglia dell'America latina, accordi benedetti da Barack Obama e da mezzo mondo. Il primo a denunciare gli affari criminali di Saab, nell'articolo censurato da Semana, fu proprio quell'Alek Boyd da noi intervistato ieri. Lo fece nel 2013 e da ieri rigira le sue domande di 7 anni fa a Santos e alla Cordoba, al momento senza risposte. Ma problemi, se Saab dovesse mai essere estradato, ci saranno per Iran, Russia e Cina, anche loro al centro dei suoi traffici. Saab dopo la presentazione di Santos a Chávez ha fatto una carriera miliardaria e prodigiosa, avvalendosi di tutti i vantaggi, a cominciare dal passaporto diplomatico che, come prassi della dittatura di Caracas, serve a evadere i controlli doganali in tutto il mondo. Carriera prodigiosa culminata nel diventare l'uomo dei pacchi alimentari Clap, gli scatoloni che ogni mese dovrebbero sfamare gli smunti venezuelani.
Soprattutto per questo gli Stati Uniti lo vogliono estradare ma anche perché il prestanome di Maduro è un narcoimprenditore di massimo livello. Quasi come Tareck El Aissami, braccio destro di Maduro su cui pende una taglia da 10 milioni di dollari.
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