«Oggi pago 71mila euro di F24. Con gli showroom chiusi»: parte da un post su Facebook, seguito da centinaia di risposte dello stesso tenore, la protesta di Matteo Rivolta. L'imprenditore 44enne è al vertice della RiFra, azienda specializzata in arredamenti di lusso con radici nel cuore della Brianza e bacino di clienti a New York.
Perché quel post?
«Semplicemente per rimarcare che ieri per me, come per moltissimi altri imprenditori, è stato il giorno di una serie di scadenze fiscali. Nel mio caso la somma dei modelli F24 ha superato i 70mila euro. Nessuna proroga né sospensione».
Le tasse non sono sospese, i guadagni sì: è così?
«Lo showroom di Milano, nel Quadrilatero della moda, è chiuso in conseguenza al recente Dpcm. Quello di New York, città che rappresenta il nostro primo mercato, avrebbe dovuto aprire in primavera ma naturalmente il progetto è bloccato».
Per una azienda come la vostra, fondata dalla sua famiglia negli anni '70 e con una storia che risale agli anni '30, la sede newyorchese era un coronamento?
«Oggi abbiamo 30 dipendenti e il 75 per cento del nostro fatturato matura all'estero. Circa un anno e mezzo fa abbiamo preso in affitto una sede a Dumbo (quartiere trendy all'ombra del ponte di Brooklyn, ndr) per sbarcare anche fisicamente oltreoceano. Spero che l'inaugurazione sia soltanto rimandata».
Anche New York è fortemente colpita dalla pandemia.
«È vero e le ripercussioni sul mercato si sono fatte sentire. Tuttavia da quel fronte si cominciano già ad avvertire segnali di ripresa. Sono molto più preoccupato per Milano e la Lombardia».
Milano paga un prezzo più alto?
«La situazione qui è più pesante. Il nostro showroom, ad esempio, era frequentato per lo più da clienti stranieri, che sono totalmente spariti dalla città. Non sappiamo neppure se ci sarà il prossimo Salone del mobile».
Cosa significa per un imprenditore pagare tasse e spese e non vendere?
«Io sono per pagarle tutte le tasse, vorrei che fosse chiaro. Però il settore dell'arredamento è fortemente penalizzato. La produzione inoltre continua e quindi la filiera si ritrova troncata a livello delle vendite».
Non è positivo che la produzione vada avanti?
«Sì, nella misura in cui posso continuare a vendere, seppur con molte limitazioni, all'estero. Tuttavia è prevedibile che il settore a gennaio-febbraio subirà a cascata un calo degli ordini. Quindi anche la produzione dovrà calare».
Cosa non va principalmente da noi?
«Per un'azienda è difficile la programmazione per il futuro. Al primo lockdown non c'era alternativa, invece ora regnano confusione e incertezza.
Non si comprende quale sia il criterio per chiudere alcune attività e lasciarne aperte altre del tutto simili. Sarebbe meglio fermarsi per il tempo necessario e poi ripartire tutti con le stesse regole. Provando a tutelare sia la salute sia l'economia».
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