Nel Pd resa dei conti per la nuova Waterloo della stagione Schlein

La segretaria è la prima imputata per la campagna fallimentare dei "suoi" coordinatori Baruffi e Taruffi

Nel Pd resa dei conti per la nuova Waterloo della stagione Schlein
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«La coppia Baruffi-Taruffi ne ha combinata un'altra». «Chiedete a loro perché abbiamo perso in Basilicata». Nel Partito Democratico, all'indomani della disfatta in Basilicata, i commenti al veleno sono tutti contro Igor Taruffi e Davide Baruffi. Il primo è il responsabile organizzazione del Pd, il secondo invece è il capo degli Enti Locali del partito. Taruffi e Baruffi (i nomi sono reali e non sono tratti da un cartone animato) sono i due dirigenti nazionali a cui la segretaria dei dem Elly Schelin ha affidato, con risultati decisamente disastrosi, il dossier Basilicata.

L'analisi fredda, nel day after del voto in Basilicata, certifica due «grandi sconfitti» nel Pd: la segreteria Elly Schlein e l'ex ministro della Salute Roberto Speranza. E poi un vincitore solo numerico: Stefano Bonaccini che porta a casa tre consiglieri nell'assemblea regionale lucana. Gli eletti Pd sono tutti di area bonacciniana: Piero Lacorazza (appoggiato anche dall'ex senatore Salvatore Margiotta), Roberto Cifarelli e Piero Marrese, il candidato governatore sconfitto dal forzista Vito Bardi.

Della corrente Schlein non entra nessuno in Consiglio. L'altro «grande sconfitto» del voto lucano, si diceva, è l'ex ministro Roberto Speranza. Per lui si tratta di una doppia debacle. La prima è il tracollo del campo largo in Basilicata con il Pd al 14 per cento e il M5s al 7 per cento. Ma c'è un secondo schiaffo: Antonello Molinari, storico braccio destro di Speranza, fallisce l'elezione in Consiglio regionale. «Speranza è politicamente finito» - ammette al Giornale un vecchio dirigente dem della Basilicata. Il vincitore tra gli ex di sinistra è Marcello Pittella che con i 7300 voti risulta il più votato nella Regione. Al netto dei numeri, è la coppia Baruffi-Taruffi che finisce sul banco degli imputati. Perché c'è un retroscena che un dirigente nazionale del Pd racconta al Giornale: «Italia Viva e Azione volevano stare nel centro-sinistra e avevano deciso (soprattutto Pittella) di appoggiare Piero Marrese. A poche ore dalla presentazione delle liste Giuseppe Conte, capo del M5s, lanciava la sua fatwa contro Calenda e Pittella. La coppia Baruffi-Taruffi accettava il diktat grillino, regalando Calenda e Pittella al centrodestra». Di chi la responsabilità della sconfitta? Analisi chiara. Che in numeri assume proporzioni ancor più vistose: Azione prende il 7,51 e Orgoglio lucano (con Italia Viva) prende il 7,03. Le due liste eleggono due consiglieri: Pittella e Polese, due consiglieri ex Pd. Che poi anche il voto in Basilicata tra le mura del Nazareno porta ai malumori sul peccato originale: la sudditanza di Schlein verso Conte. Tant'è che ieri in Transatlantico girava una battuta velenosissima: «Sul simbolo siamo stati fortunati, abbiamo scampato un pericolo più grosso. Più che il nome di Schlein avremmo potuto trovare sul simbolo del Pd il nome di Giuseppe Conte». Parole che aprono una riflessione nel partito sulla gestione dell'alleanza con i Cinque stelle. Il riposizionamento del Pd sulla linea grillina sta aprendo una voragine nell'area moderata.

E da qualche settimana sono ritornati i caminetti. Si consolida l'asse tra Peppe Provenzano e Andrea Orlando. Mentre Dario Franceschini, regista dell'ascesa di Schlein alla guida del partito, attende l'esito delle Europee per riorganizzare la sua alleanza nel Pd.

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