I numeri del sondaggio sono drammatici.
«Purtroppo mi aspettavo cifre del genere».
Valerio de Gioia, giudice al tribunale penale di Roma e direttore della rivista NJus, edita da LaTribuna, ha letto con attenzione il Rapporto Italia dell'Eurispes: «Lo trovo aderente alla realtà».
L'opinione pubblica non si fida del sistema giudiziario.
«È quello che verifico ogni giorno in aula. E il motivo purtroppo è evidente: troppe persone, vittime di violenze e prepotenze orribili, vengono richiamate a confermare le proprie denunce a distanza di tanto tempo. Diciamo pure dopo quattro anni o pure di più».
E che succede in questi casi?
«Prenda la madre di un tossico, riempita di botte dal figlio. In un momento di disperazione è andata dai carabinieri e ha raccontato le umiliazioni e le violenze subite».
D'accordo, ma perché dovrebbe diventare scettica?
«Perché dopo la denuncia non è successo niente. Gli schiaffi forse sono continuati, forse no, ma lo Stato ha fatto altro. Lei ha metabolizzato la sua sconfitta, si è rassegnata, in ogni modo è stata costretta a convivere con quella situazione penosa e offensiva».
Risultato?
«Dopo una lunga attesa, ecco che finalmente il processo si mette in moto e arriva il gran giorno in cui la signora viene chiamata davanti a un giudice a ripetere quel che aveva avuto il coraggio di svelare anni prima. Secondo lei confermerà?
Dottor de Gioia, ce lo dica lei.
«Quel coraggio è svanito. Prevalgono altri sentimenti, altre sensazioni, altri calcoli. Io lo vedo giorno per giorno nel mio lavoro e come me credo tanti colleghi. Negli ultimi tempi ho notato che una vittima su due, almeno su questo versante di reati, ritratta, tace, cerca, come dire, di defilarsi o di minimizzare. Io insisto, naturalmente, recupero la drammaticità di quei verbali, di quelle parole, di quegli stati d'animo, ma è una guerra difficile. I processi durano troppo e arrivano troppo tardi: il cittadino perde la speranza e così si finisce nell'Italia raccontata dall'Eurispes».
Poi ci sono gli scandali, il sistema Palamara e le lotte fra correnti. Che peso hanno sul rapporto con i cittadini?
«Certo non fanno bene e non aiutano, ma è sui meccanismi ordinari che si dovrebbe intervenire. Si deve evitare che il dibattimento diventi un calvario per la vittima, come nei casi di violenza di genere o domestica. E c'è uno strumento che potrebbe dare una forte spinta in questa direzione».
Quale?
«L'incidente probatorio, in pratica l'anticipazione di un pezzetto del processo. Il giudice sente subito la vittima, prima che la ferita si richiuda. Oggi l'incidente probatorio è previsto, ma non è utilizzato con la frequenza necessaria. Naturalmente in questo modo si risolve solo una parte del problema che è più articolato».
Insomma, cosa ci vuole per ridare almeno un po' di ottimismo a chi entra in tribunale?
«Io credo che la priorità sia depenalizzare o comunque ridurre il numero dei reati. In Italia ci sono un'infinità di leggi e tutto finisce davanti al giudice. Come se non bastasse, la giurisprudenza ha ampliato il perimetro dentro cui si muove la magistratura.
In questo modo l'apparato non ce la fa e la disillusione cresce. Pensi, per concludere, al testimone che viene richiamato dopo anni, sta in attesa tutto il giorno e poi torna a casa per essere riconvocato chissà quando. Anche lui passerà al partito dei delusi».
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