Sul terrorismo non si discute, lo si combatte come in una guerra, senza se e senza ma. E per prevenirlo s'intensifichino controlli ed espulsioni, sradicando i focolai appena affioranti e le aree di reclutamento. Linea dura, tolleranza zero.
Ma sul piano della risposta civile e culturale al fanatismo siamo sicuri che la civiltà occidentale si identifichi con lo spirito della Rivoluzione (...)
(...) francese e si esprima nel diritto alla blasfemia e all'irrisione dei simboli religiosi? Un conto è piangere la morte di dodici persone, reagire alla strage, ritenere orrendo che si possa uccidere per un'opinione o una vignetta blasfema. Un'altra cosa è riconoscersi in quelle vignette e in quei messaggi che sono offensivi per ogni civiltà, per ogni popolo e per ogni religione, pur rientrando nella sfera delle opinioni e della satira.
Il terrorismo è barbarie, ma la blasfemia non è civiltà. Ha ragione Papa Francesco. Perché in Francia come in Italia non si può scherzare sull'omofobia o su altri tabù storici ed etnici, si incorre in reati fino al carcere, e invece non solo è permesso denigrare Dio, la fede, i suoi profeti e dissacrarne simboli, storie e tradizioni, ma farlo diventa addirittura esempio e modello di riferimento per l'Occidente? La bandiera nera dell'Isis e del fanatismo non si combatte con la bandiera nera dell'anarchia e del nichilismo ateo; l'una evoca l'altra in un macabro gioco sulla pelle dei popoli e delle civiltà. È vero, ci sono testi sacri che contengono germi di violenza e fanatismo, come il Corano. È vietato aggiungere che non è il solo testo sacro a spingere alla violenza nel nome di Dio? Dalla Torah al Vecchio Testamento ad altri testi monoteisti, ci sono passi cruenti e atroci comandi divini non meno di alcuni versetti islamici. Però, se alcuni si attengono alla versione feroce di quei testi anziché ispirarsi ad altri precetti di fede e misericordia, la responsabilità cade tutta sulle loro spalle.
Ma il discorso di fondo è opporre al fanatismo degli integralisti e dei terroristi la matita di Charlie Hebdo e delle sue vignette. Ne abbiamo viste alcune che avremmo definito disgustose se la pietà e la rabbia suscitate dalla strage compiuta non ci trattenessero dal farlo. Non solo Maometto, non solo Allah, ma ogni religione viene irrisa e ferita, dalla Trinità a Gesù Bambino, da Dio alla Madonna. E noi dovremmo elevare questa libertà di dissacrare e offendere a bandiera della nostra civiltà? Non riusciamo ad auspicare censure, che ci sono estranee; ma quanta gente oltraggiano e feriscono quelle immagini, quante generazioni sono vissute e morte nel nome di quei simboli, hanno pensato e costruito cattedrali e civiltà, hanno dedicato la loro vita e fondato comunità e carità su quei principi? Possiamo disfarcene così, con una vignetta, elevandola a simbolo di libertà? Perché ci poniamo mille problemi per un presepe o per un crocifisso in luogo pubblico, temendo di urtare la sensibilità di chi non è credente e non ci poniamo invece alcun problema per vignette che feriscono la sensibilità di milioni di credenti o anche di non credenti che rispettano i segni e i simboli della loro civiltà? È ingiusto, è ipocrita ed è pure incivile.
Il discorso, come si vede, non riguarda il diritto alla satira ma quanti sposano Je suis Charlie e reputano che si debba affidare a quel messaggio la risposta del mondo civile ferito. Nel nome della Liberté e degli Immortali Principi. Poi non ci spieghiamo perché la parola Terrore sia nata proprio all'ombra degli stessi Principi, dopo la Rivoluzione francese, nella versione giacobina; perché dietro la Libertà si sia nascosta la ghigliottina e dietro i diritti dell'uomo abbia preso corpo il genocidio, come accadde in Vandea. Si possono uccidere innocenti sia nel nome di Dio che della Libertà; il fanatismo non è nell'oggetto d'ispirazione, ma nei soggetti che lo brandiscono. Il poeta André Chénier e il chimico e biologo Antoine-Laurent Lavoisier furono uccisi da fanatici della Libertà e non della religione. Non si fronteggia culturalmente il terrorismo con la blasfemia, identificando la libertà con l'ateismo e i diritti umani col nichilismo. Perché privi di principi e di limiti, poi affidiamo la verità e la vita al solo potere delle armi e della guerra, proprio come i terroristi. Non si tratta peraltro di concepire la guerra al terrorismo come una crociata e una guerra di religione, contrapponendo la nostra religione alla loro.
Anche perché il loro nemico non è la fede cristiana, ma il Grande Satana dell'ateismo materialista. Si porti invece rispetto alle religioni, alle civiltà e alle tradizioni, a cominciare dalle proprie, ma s'impedisca che qualcuno le usi per sostituirsi a Dio e decidere in suo nome della vita e della morte degli altri. Non è Dio il nemico da abbattere, come pensano i nichilisti atei, e non è nemmeno la sfida tra il nostro e il loro Dio, come pensano i nostri devoti, atei o no. I nemici sono i ventriloqui di Dio, cioè coloro che parlano nel nome di Dio e decretano la vita e la morte degli altri. Se Allah è grande non ne consegue che in suo nome tu possa fare una strage in un supermercato, magari imbottendo di armi e follia una bambina. Allah è grande, ma perché tu devi uccidere me? Sfugge il nesso consequenziale tra la grandezza di Dio e la tua volontà di eliminare me, un bambino o un campione di umanità a caso.
La follia è proprio nello stabilire nessi immaginari. Non sto dicendo che Allah è frutto della vostra testa malata, dico che è frutto della tua testa malata che Allah il Misericordioso abbia affidato a te, misero mortale come me, il compito di vendicarlo, di decretare col sangue la verità e l'errore è di condannare non solo i colpevoli di un'azione, una vignetta o una parola ritenute sacrileghe, ma anche chi si trova attorno o chi è suo parente, connazionale, correligionario. Ma non c'è solo follia negli jihadisti e nei lupi solitari, c'è una patologia della volontà di potenza: per sancire la loro superiorità sugli altri senza averne le risorse, si autoeleggono concessionari in terra della volontà divina e così annientano chi vogliono. La volontà di potenza tramuta così in gloria immortale, giacché da morti vanno diritti nel paradiso di Allah.
Non si tratta dunque di negare Dio o il loro Dio e nemmeno di irridere Lui, il suo Profeta e i suoi seguaci, ma di sostenere con forza e chiarezza una cosa: se la Verità esiste, nessuno ne detiene il monopolio in
terra né la conseguente autorizzazione a disporre della vita e della morte degli altri.Nel derby tra fanatismo e nichilismo a rimetterci è l'umanità, insieme a Dio. L'uno non è il rimedio all'altro ma il suo galvanizzatore.
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