Milano. La mobilitazione è partita. Dichiarazioni indignate, anatemi, addirittura nove concerti pronti «contro le sue parole». La Milano di sinistra, quella giusta e «civile», ha già intonato la sua messa cantata per dannare il nuovo nemico, il nuovo «mostro».
Il pericolo fascista, stavolta, è un uomo mite che fino a un mese fa faceva il primario di pediatria al Fatebenefratelli, e ora ha avuto l'ardire di candidarsi a sindaco di Milano, Luca Bernardo. L'imputazione è di quelle che non lasciano scampo. Due giorni fa, rispondendo a una domanda che gli è stata posta per strada, davanti a un centro commerciale, Bernardo ha detto sbrigativamente: «Non distinguo le persone tra fasciste e antifasciste». Apriti cielo.
Gli esponenti del Pd hanno cominciato a martellare: «È incompatibile con la storia e i valori di Milano», «non si riconosce nella Costituzione», «è distante dalla cultura civile di Milano». L'ex viceministro Matteo Mauri (Pd) ha avvertito: «Non abbasseremo la guardia, perché i nostri valori sono solidi e perché per noi è sempre valido il motto Ora e sempre Resistenza».
Il giorno dopo il sindaco uscente, Beppe Sala, ha fatto sapere che intendeva derogare alla regola che si è dato di non rispondere ai suoi avversari, e ha tuonato: «Sono convinto in modo assoluto che chi non ha il coraggio di dichiararsi antifascista non sia degno di guidare la nostra città». Il direttore d'orchestra Alberto Veronesi ha subito pensato di allestire «nove concerti per i nove municipi della città», una «Maratona musicale democratica».
Inorridito si è detto anche il capolista di «Milano unita» Paolo Limonta, grande amico dei centri sociali, notoriamente modelli di democrazia, legalità e tolleranza, a sua volta conosciuto per essersi si era fatto vedere sorridente dopo aver strappato dei manifesti dedicati a Sergio Ramelli, lo studente che nel 1975 morì dopo un mese e mezzo di agonia per le ferite riportate durante l'aggressione a colpi di chiave inglese, opera di militanti della sinistra extraparlamentare che si sarebbero sicuramente definiti «antifascisti».
Sì, perché in questo scandalo insincero, si può scommettere sul fatto che tutti (o quasi) gli indignati non sarebbero in grado di definirsi anticomunisti, mentre il Parlamento europeo - a loro così caro - ha equiparato formalmente il totalitarismo comunista, coi suoi crimini, a quello nazista.
Intanto Bernardo, sbalordito e amareggiato, ha spiegato: «Il mio antifascismo è nei fatti, non nelle etichette: nessuno mi può accusare di essere fascista. Il concetto era semplice e chiaro, bastava ascoltare e riportare con onestà quanto ho detto». Poi ha raccontato: «Mio nonno, uomo alto 1.98, siciliano, deceduto per infarto, si spogliò della divisa di granatiere e fece il partigiano a Bologna. Mi onoro della lunghissima amicizia con la comunità ebraica milanese. Questi sono i fatti. Altro, invece, sono le accuse create ad arte (sotto l'ombrellone in riva al mare) e alimentate dalla macchina social».
«Da medico e uomo della società civile - ha concluso - sono abituato ad affrontare i colpi bassi che la vita riserva, ma non ero preparato a bugie, falsità e polemiche architettate per raccattare un voto in più. La credibilità e la validità della nostra proposta amministrativa evidentemente creano disagio nei nostri competitori». Insomma, qualcuno ha paura?
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