L'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita ed ex presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, interviene in modo critico sul ddl Zan.
Monsignor Paglia, cosa pensa del ddl Zan?
«La Costituzione stabilisce che non sono ammesse discriminazioni per motivi di sesso. È ovvio, allora, ed è anche un bene, che una legge ordinaria realizzi il dettato costituzionale, promuovendo una tutela contro le discriminazioni. L'attuale testo, però, mentre vorrebbe presentarsi come baluardo a tutela di eventuali discriminazioni, rappresenta un serio rischio di minaccia alla libertà di espressione del pensiero e di discriminazione del sentimento religioso di gran parte del popolo italiano. Per realizzare un articolo della Costituzione si rischia di negarne altri. L'impostazione di fondo mi pare inaccettabile perché si vorrebbe inserire per legge un'idea: quella del gender, che finirebbe così per imporsi come ideologia. La Chiesa propone un cammino diverso. Rispetto delle persone: ogni uomo e ogni donna hanno una dignità che nasce dalla propria storia, dalle gioie e dai dolori. La strada maestra è quella della vicinanza e del discernimento di ogni vicenda personale. Una legge manifesto imporrebbe una ideologia, inaccettabile sia per la Chiesa che per la società».
Cosa pensa dell'intervento del premier?
«Draghi ha ricordato come in Italia esistano gli strumenti per tutelare i diritti e i doveri previsti dalla Costituzione. Ha mostrato rispetto e considerazione per la Santa Sede e le sue posizioni. L'indipendenza di uno stato democratico e liberale è una garanzia anche per la Chiesa e i suoi diritti. Indipendenza non significa indifferenza. Che uno Stato sia indipendente nel processo legislativo mi pare sacrosanto: nessuna fede religiosa potrà mai proporre che diventi legge una credenza che non sia rispettosa di quelle libertà per cui tanti cattolici si sono battuti e continuano a battersi con tenacia e coraggio».
Cosa risponde a chi dice che c'è ingerenza da parte del Vaticano?
«Se l'Europa può legittimamente intervenire se e quando un paese minaccia i diritti di cittadini con tendenze omosessuali, non vedo perché la Santa Sede non possa fare altrettanto in Italia. Non è ingerenza, è interesse del bene comune a partire dalla preziosa visione antropologica che la Chiesa tutela come una ricchezza. Il Vaticano è una realtà internazionale e un piccolo Stato sovrano. Ma la sua storica vicinanza con l'Italia gli permette di cogliere con estrema sensibilità il sentire comune del popolo italiano: per noi italiani la famiglia basata sul matrimonio di un uomo e una donna, la realtà di un padre e di una madre come genitori, è qualcosa che rappresenta un valore di estremo rilievo. Se qualcuno vuol chiamare ingerenza questa passione per l'umanità».
Eccellenza, lei ha detto che è stato uno sbaglio la nota del Vaticano. Può spiegare meglio?
«Preciso che una giornalista ha estrapolato da un mio articolato intervento una falsa intervista che non ho mai concesso. Ho, ad ogni modo, espresso dei dubbi, come tanti. Sono un vecchio prete romano. Ho pensato, forse sbagliando, che tra le due sponde del Tevere sia sempre esistita una creatività nell'immaginare vie di colloquio e di composizione delle divergenze dalle quali i media dovessero e potessero rimanere fuori. Oggi, purtroppo, la riservatezza non sembra più un valore. Lo sbaglio, a mio avviso, è stato rendere pubblica un Nota che doveva rimanere segreta. Questa era l'intenzione originaria della Santa Sede, qualcuno deve aver pensato diversamente. La pubblicità ha rischiato di far alzare muri ancora più alti.
Sono stato frainteso anche io: la Nota ha avuto il prezioso effetto di far luce sulle gravi problematiche di un Decreto che, così come è, è inaccettabile. Non solo dalla Chiesa, direi dalla maggior parte degli italiani».
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