"La nostra Europa non è quella di Orbàn. Sulle bollette Draghi non ha fatto abbastanza: nel nostro governo le forze migliori del Paese"

Il Cavaliere: "Noi garanzia di atlantismo nella coalizione: sempre dalla parte dell’Occidente, a differenza della sinistra che ancora oggi odia gli Usa. Nel centrodestra tre leader indispensabili"

"La nostra Europa non è quella di Orbàn. Sulle bollette Draghi non ha fatto abbastanza: nel nostro governo le forze migliori del Paese"

Presidente Silvio Berlusconi, la polemica sui finanziamenti russi a partiti di venti Paesi in Italia ha preso dei connotati strani: ne è nato un putiferio sul nulla, visto che nel rapporto, a quanto si sa, non si parla del nostro Paese. Può essere un avvertimento, diciamo subliminale, di Washington al prossimo governo, a mantenere l'attuale linea politica sull'Ucraina, sulla Russia, sulla Cina?

«Io non mi occupo di dietrologia. Ma posso dire una cosa: gli Stati Uniti, come l'Europa, come l'Occidente, come l'Alleanza Atlantica hanno una assoluta garanzia per la continuità della politica estera italiana: la nostra presenza nel governo. A differenza della sinistra, che ha scoperto una vocazione atlantica solo negli ultimi mesi, noi siamo sempre stati dalla parte dell'Occidente, anche nei momenti più difficili, in Iraq e in Afghanistan, quando la sinistra organizzava manifestazioni pacifiste a senso unico contro l'Occidente. Io ho avuto l'onore di raccontarlo davanti al Congresso Usa, che è un privilegio riservato a pochissimi leader politici stranieri: ho imparato da ragazzo quanto profondo fosse il legame fra la nostra libertà e gli Stati Uniti, quando mio padre mi portò a visitare un cimitero di guerra americano vicino ad Anzio dove riposano migliaia di ragazzi americani che hanno sacrificato la loro giovinezza per la nostra libertà. Non è solo un legame di gratitudine imperitura, è anche una profonda condivisione di valori che sono quelli della democrazia liberale. Quelli che la sinistra ha contestato mille volte. Ancora oggi il Pd si è alleato con Fratoianni, uno che in Parlamento ha votato contro l'allargamento della Nato. E del resto, gli unici soldi da Mosca di cui ci sono notizie certe sono quelli che prendeva il Pci, negli anni della guerra fredda, quando i missili russi erano puntati su di noi».

Lei ha detto che Forza Italia non farà parte di nessun governo non europeista. Un segnale agli alleati della coalizione per avvertirli che su queste tematiche lei sarà intransigente come garante verso l'Europa e verso l'Alleanza Atlantica? Lei pensa che ci sia una diffidenza a Bruxelles e a Washington sulle posizioni di politica internazionale degli altri partiti del centrodestra?

«Non credo, sarebbe obbiettivamente un pregiudizio. Ovviamente, la nostra Europa non può che essere quella del Ppe, non certo quella di Orbàn che dal Ppe è uscito. Del resto, lo stesso Presidente del Ppe, Manfred Weber, è venuto a trovarmi e ci ha chiesto, anche pubblicamente, di essere garanti del profilo europeista e atlantista del prossimo governo. Cosa per noi del tutto scontata e naturale. Per questo, un elettore moderato, di centro, europeista, se vuole dare un voto razionale e utile deve darlo a noi. Siamo gli unici in grado di caratterizzare in questa direzione il futuro governo del Paese».

Letta ha tentato in tutti i modi di polarizzare la campagna elettorale in un confronto tra lui e la Meloni nel tentativo di mettere in ombra gli altri partiti. È riuscita questa operazione?

«Direi che Letta aveva soprattutto il problema di dare un senso ad una campagna elettorale che sapeva benissimo di perdere, ed alla fine della quale sarà chiamato a rendere conto della sconfitta da un partito diviso e angosciato dall'idea di lasciare il potere. Un potere che ha esercitato per gli ultimi 11 anni quasi ininterrottamente, pur senza mai aver vinto le elezioni. Letta ha provato a risolvere il problema compattando il suo partito e la sinistra contro un nemico da demonizzare, come hanno sempre fatto. Questa volta ci hanno provato con Giorgia Meloni. Ma gli italiani non sono mai caduti in queste trappole, sanno bene che finalmente potranno scegliere da chi essere governati. E sceglieranno il centrodestra che vincerà perché è guidato da tre leader, ognuno dei quali è indispensabile dal punto di vista numerico e politico».

Lei presidente più volte si è trovato nella condizione di formare un governo. La prima volta lo ha messo in piedi addirittura con una maggioranza di pochi voti. Vista la situazione economica e internazionale c'è bisogno di una maggioranza che abbia a disposizione dei numeri affidabili?

«Non credo ci saranno problemi di numeri, ma noi cercheremo comunque di avere un rapporto costruttivo con l'opposizione, pur nella rigorosa distinzione dei ruoli. Spero che loro siano disponibili. Ma la cosa che più mi interessa è chiamare a raccolta la parte migliore del Paese, anche fuori dalla politica. È un appello che ho già fatto nella fase peggiore della pandemia, e lo rinnovo oggi. Il mondo dell'impresa, del lavoro, della ricerca, della finanza, ma anche della cultura, dell'università, della scienza, dell'arte deve dare una mano a far ripartire il Paese. Il prossimo governo sarà aperto soprattutto a loro».

Lo dico perché la nuova narrazione a sinistra è quella di una rimonta del Pd, dei 5stelle, di un buon risultato dell'accoppiata Calenda-Renzi, il tutto per rilanciare l'ipotesi di un governo di larghe intese, magari con Draghi. Secondo lei è un'ipotesi verosimile?

«Come lei sa, non si può parlare di sondaggi, ma sono in grado di escluderlo. Anche perché l'accoppiata Renzi-Calenda, come la definisce lei, il finto centro che guarda a sinistra, non è in grado di vincere alcun collegio, nell'ipotesi migliore per loro eleggeranno un piccolo nucleo di deputati relegati in un'opposizione sterile, egemonizzata dal Pd e dai Cinque Stelle. Dare il voto a loro è veramente un voto sprecato, per un elettore centrista che voglia influenzare il futuro del Paese. E poi, mi scusi, quanto tempo pensa che siano in grado di stare insieme Renzi e Calenda, dopo le elezioni?».

A proposito di Draghi. Finalmente il governo ha stanziato 14 miliardi per intervenire sulle bollette. Ci sono volute quattro settimane. E difficilmente basteranno. Anche l'agenzia Fitch, che normalmente è benevola con Draghi, parla di ritardi nelle decisioni per fronteggiare la crisi del gas. Addirittura, ne fa una delle ragioni della possibile recessione. L'assenza di tempestività, l'incapacità di prendere decisioni in tempi brevi nelle emergenze è un limite anche dei governi tecnici. Lei cosa ne pensa?

«In effetti era da settimane che insistevamo perché il governo intervenisse. Quello di venerdì è stato un provvedimento nella direzione giusta, ma non sono affatto sicuro che sia sufficiente. Il rischio di recessione è davvero dietro l'angolo. Anzi, di una recessione accompagnata da inflazione e naturalmente da disoccupazione. In concreto, la tempesta perfetta che ogni economista e ogni governante responsabile dovrebbe temere. Per questo occorre fare davvero tutto il necessario per bloccarla subito, whatever it takes, costi quello che costi, per usare le parole del presidente Draghi di fronte all'emergenza debito. Questa crisi non è meno grave, va affrontata, anche dall'Europa, con la stessa energia e la stessa solidarietà».

Presidente, parlando dei drammi del Paese, la tragica alluvione nelle Marche ripropone l'immagine di un'Italia del «giorno dopo», che non ha capacità di previsione. È successo sul Covid, sul gas e ora su questa nuova tragedia. Eppure lei si è impegnato, senza i suoi governi non avremmo avuto una riforma della protezione civile moderna. Ma poi ci sono altri comparti della macchina statale che restano indietro. Non si riesce a mettere in piedi un'organizzazione generale, un sistema Paese. Ci sono 7423 comuni italiani (il 94%) del totale che è a rischio di frane, di alluvioni, di erosione costiera. Perché?

«È un tema molto complesso. Lo splendido lavoro che stava svolgendo il nostro amico Guido Bertolaso non ha trovato corrispondenza nell'attività delle altre amministrazioni. Ci riproveremo, coinvolgendolo di nuovo in queste responsabilità. Questo dopo il 25 settembre, quando saremo di nuovo alla guida del Paese. Oggi però è il momento di esprimere alla popolazione delle Marche tutta la nostra solidarietà e soprattutto un impegno concreto a favore di chi ha subito danni».

Altro guaio. Il Covid ha lasciato indietro la cura e la prevenzione di altre patologie a cominciare dai tumori. Il piano della Ue per la lotta contro i tumori ha messo a disposizione 4 miliardi di euro per gli Stati membri. Obiettivo entro il 2030: salvare tre milioni di persone e portare la percentuale di sopravvivenza dall'attuale 47% al 75%. L'Italia rischia però di non poterne usufruire per il mancato allineamento con il piano europeo che prevede un potenziamento dei servizi di prevenzione. Anche qui il problema sono i ritardi nelle decisioni.

«Ho ascoltato con attenzione l'allarme più che giustificato - lanciato in queste settimane dalle associazioni che rappresentano i malati oncologici e faccio mie le loro preoccupazioni. Mi impegno a farne, in collaborazione con loro, una delle priorità del nuovo governo. Sono stato operato di un tumore, per fortuna ne sono guarito bene, ma sono perfettamente consapevole di cosa significa questa tremenda malattia e di quanto importante sia salvare vite umane. Il nostro governo eliminò molti tumori con le leggi anti-fumo, che ridussero fortemente la mortalità legata a queste patologie, ma ora è davvero il momento di fare altri passi avanti. La scienza lo consente, è una questione di volontà politica, di risorse, di organizzazione. Serve per salvare vite umane, non farlo sarebbe un delitto».

Certo il centrodestra, in caso di vittoria alle elezioni, arriverebbe al governo in una fase difficile e dopo che 5 anni di legislatura ad egemonia grillina, per di più in situazioni di emergenza provocate dal Covid e dalle sue conseguenze economiche, hanno messo a dura prova il Paese. Un impegno che fa tremare i polsi: quanto ci metterà l'Italia a riprendersi?

«È difficile rispondere, perché molte difficoltà non dipendono da noi, ma da una situazione internazionale che non possiamo determinare. Non voglio vendere illusioni, ci vorrà del tempo. Ma tutti i nostri provvedimenti vanno in una direzione sola, la crescita. È orientata alla crescita la flat tax al 23%, è orientato alla crescita il taglio alla burocrazia con l'abolizione della autorizzazioni preventive, sono orientati alla crescita gli aumenti delle pensioni di anzianità e di invalidità, sono orientati alla crescita i provvedimenti per favorire l'occupazione stabile dei giovani. È orientata alla crescita, oltre che alla tutela dei diritti, anche la riforma della giustizia. E se il Paese ricomincia a crescere, trova poi in sé stesso l'energia per crescere ancora.

Un processo virtuoso che significa, con meno tasse, più soldi ai cittadini per i consumi, più soldi alle imprese per gli investimenti, più posti di lavoro, più circolazione della ricchezza, stipendi migliori, più utili per le imprese e così via, con quel circolo virtuoso che abbiamo chiamato l'equazione liberale della crescita. In tanti altri Paesi che hanno adottato le nostre stesse politiche penso all'America di Reagan tutto questo ha funzionato, perché non dovrebbe funzionare da noi?».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica