"Le nostre ring girl mettono al tappeto l'ipocrisia della F1"

Il presidente della Federazione pugilistica: "Rinunciare alle ragazze è solo demagogia"

"Le nostre ring girl mettono al tappeto l'ipocrisia della F1"

Vittorio Lai è un gentiluomo d'altri tempi. Di quelli che, quando passa una signora, ancora si tolgono il cappello. In segno di rispetto. Quasi di devozione. I suoi 73 anni li porta alla grande. Dallo scorso febbraio è il presidente della Federazione pugilistica italiana (Fpi).

All'atto della sua elezione, solo poche parole: «Sarò il presidente del fare e girerò, come ho sempre fatto, per tutta Italia per parlare coi tecnici e le società. Con la mia squadra opererò per il bene del movimento pugilistico nazionale. Mi metterò al servizio del nostro sport, come ho fatto ad ogni livello in questi ultimi 50 anni».

Presidente Lai, come giudica la scelta della F1 di eliminare le «ombrelline» (le sexy miss che fanno «ombra» ai campioni prima che scatti il semaforo verde, ndr)?

«Mi pare una scelta demagogica».

In che senso?

«Dopo lo scandalo Weinstein, è diventato politicamente corretto tutelare l'immagine della donna. Anche a costo di evidenti forzature, dal sapore tragicomico».

Come appunto l'eliminazione delle ombrelline dai circuiti di gara.

«È assurdo. La bellezza non è una colpa, soprattutto quando si abbina al talento».

Guardando le ombrelline, non è che si pensasse tanto al «talento»...

«Certo. L'occhio cadeva su altro... Ma nel mio settore, quello pugilistico, la tendenza è di presentare delle ring girl che, oltre all'avvenenza fisica, abbiano pure delle qualità artistiche».

Un esempio?

«Nel corso di una recente riunione di boxe, per segnalare il passaggio da un round all'altro, abbiamo fatto salire sul ring delle ballerine professioniste che hanno riscosso gran successo al di là dell'indubbio fascino estetico».

Quindi la Fpi non ha intenzione di seguire l'esempio moralistico-bacchettone della F1?

«Ma scherza? Non siamo dei bigotti, noi. Le girl ring le vogliono gli sponsor e noi siamo felici di accoglierle, così come il pubblico è contento di ammirarle».

Maschi entusiasti. Ma femministe pronte a sferrare uppercut da ko.

«Non accetto lezioni dalle femministe. Glielo dice uno che è cresciuto in una famiglia di stampo matriarcale. Mia madre era il perno intorno al quale ruotavano anche tutti i maschi di casa. €È da lei che ho imparato il profondo rispetto per le donne. Un rispetto di sostanza. Non di semplice facciata o banale opportunismo».

Eppure il fenomeno delle donne molestate sessualmente è reale. «Ma non ha nulla a che vedere con quelle attrici che, dopo decenni, si ricordano di essere state molestate. Le denunce vanno fatte subito. E i colpevoli puniti. Invece le accuse a scoppio ritardato rischiano di distogliere l'attenzione dai casi drammatici in cui le donne sono davvero vittime di violenza».

La boxe è uno sport violento?

«No. È una disciplina educativa e popolare. Che salva tantissimi giovani dai rischi della strada».

A quali rischi si riferisce?

«Le baby gang sono anche il frutto marcio di una realtà che non conosce i valori della lealtà sportiva».

Voi come federazione pugilistica cosa fate?

«Allestiamo ogni anno nuove palestre. Frequentarle è gratuito. L'ultima l'abbiamo aperta A Scampia, nella caserma dei carabinieri, il simbolo della legalità».

È l'altra faccia di Gomorra?

«È la vera faccia del pugilato, che forgia uomini e caratteri. Esigendo l'impegno dell'onestà».

A colpi di cazzotti?

«I pugni, per noi, sono solo lo strumento per combattere in nome del rispetto dell'avversario. Che non è mai un nemico. E al quale, a fine match, va sempre stretta la mano».

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