Stasera rimanda in onda su Raiuno (alle 23) la puntata di Mixer con il memorabile faccia a faccia con Berlusconi nei giorni della discesa in campo nel 1994. Quella prima intervista al leader della neo nata Forza Italia raggiunse addirittura il quaranta per cento di share. Giovanni Minoli, volto storico della Rai, ha seguito l'ascesa del fondatore di Mediaset fin dai suoi esordi di imprenditore edile. Da un'ottica diversa, di fiero sostenitore e protagonista della tv pubblica, che ha visto nascere e crescere la concorrente principale, quella che ha sfidato, cambiato, stravolto anche la sua Rai, oltre che le abitudini di milioni di italiani.
Minoli, cosa significa per lei la scomparsa di Berlusconi?
«La fine del 900. La fine del secolo. Da tutti i punti di vista. Per restare nell'ambito televisivo, con lui si chiude l'epoca della tv analogica. Ora siamo in un mondo completamente diverso con le piattaforme e i grandi network internazionali. Ma questa innovazione, questa apertura del sistema si deve in gran parte a lui, al miracolo che ha fatto con la creazione della tv commerciale».
Lei l'ha vissuta in diretta: cosa ha voluto dire l'avvento di Mediaset nella storia televisiva italiana?
«Una grande offerta di spettacolo, svago, intrattenimento, comicità, con un netto miglioramento e svecchiamento rispetto al passato. Con Mike, Vianello, Funari e tutti i programmi di Ricci che sono stati veramente innovativi. Per quanto riguarda il settore informazione Mentana ha fatto un miracolo creando il Tg5 e Mimun un grande lavoro per mantenerlo a livelli alti».
Che ricordi ha dei momenti passati con lui?
«Un uomo, come si sa, di una simpatia assoluta, grande venditore di se stesso, caratteristica che era anche una verità dell'anima. Ricordo una volta che avevo fatto una puntata di Mixer su Edoardo Agnelli dal titolo omicidio-suicidio. Lui era rimasto molto impressionato, gli ho visto negli occhi una paura inedita: che potesse capitare anche a uno dei suoi figli una cosa del genere».
Da viale Mazzini come si vivevano quei primi momenti pionieristici che potevano mandare in crisi la televisione pubblica?
«I vertici di allora osservavano con un misto di ansia e sufficienza, e anche di supponenza perché la Rai veniva considerata intoccabile come la Banca d'Italia. Io, che avevo capito che ormai c'era il telecomando e la gente poteva cambiare canale, come risposta mi inventai Mixer, perché accanto ai programmi culturali, ci doveva essere qualcosa di più accattivante per trattenere gli spettatori».
Ha mai pensato di trasferirsi a Mediaset?
«Me l'hanno proposto molte volte. Non ci sono mai andato perché mi sono sempre considerato un uomo del servizio pubblico ed ero contrario all'idea che un capo di governo possedesse tre reti. Ma la colpa di questa situazione è stata soprattutto dei partiti di sinistra che non hanno mai voluto fare una legge sul conflitto di interessi».
Berlusconi, da presidente del Consiglio, è arrivato direttamente in Rai.
«E qui, secondo me, ha commesso il suo più grave errore. Da grande uomo di Stato come si è rivelato in politica estera, avrebbe dovuto comportarsi allo stesso modo anche con la Rai, lasciandole il naturale ruolo di servizio pubblico. Invece ha permesso il livellamento verso il modello popolare e commerciale della tv privata. La responsabilità è stata dei dirigenti di allora che non sono stati in grado di opporsi e di mantenere la Rai nel solco della tradizione».
Quindi anche lei pensa che abbia «inquinato» le menti degli italiani?
«Certo che no. Lui ha interpretato gli anni '80, quella Milano del design, moda, finanza che era la punta di diamante dell'Italia che cambiava e gli ha dato la possibilità di esprimersi. Con le tv commerciali ha trasformato gli spettatori in consumatori, ma doveva lasciare alla Rai il compito di trasformarli in cittadini».
Dunque qual è la sua vera eredità nel campo televisivo?
«Aver permesso all'Italia di esplodere. Anche dal punto di vista culturale e dell'interpretazione del mercato.
Ha contribuito in modo decisivo alla crescita delle piccole e medie aziende che non trovavano spazi pubblicitari nella tv di Stato perché la domanda era molto superiore all'offerta: ha aperto i suoi canali agli spot e dato la possibilità di farsi conoscere, facendo aumentare il Pil nazionale».
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