Che la guerra portata dalla Russia oltre confini sia in qualche modo esplosa anche al proprio interno è ormai un dato di fatto. Tra droni «classici», marittimi, sabotatori, raid e partigiani, da tempo il territorio della federazione è finito sotto attacco. Al punto che ora, qualsiasi cosa succeda in Russia, come l'esplosione di ieri in un impianto ottico-meccanico di Sergiev Posad, 70 km a Nordest di Mosca, si tinge di giallo. E diventa oggetto di manovre propagandistiche da ambo le parti. Fa parte del gioco. Un gioco in cui la verità finisce con l'essere nient'altro che un oggetto interpretabile.
I fatti. Una donna è morta, almeno cinquanta persone sono rimaste ferite, alcune in maniera seria dopo l'esplosione nella fabbrica. Ben 38 edifici nelle vicinanze sono stati danneggiati, segno evidente della potenza della deflagrazione. «L'esplosione si è verificata sul territorio dell'impianto ottico-meccanico, nella zona della caldaia. L'onda d'urto ha fatto saltare le finestre di diverse case», ha dichiarato una fonte del servizio di emergenze. L'impianto è uno dei principali sviluppatori e produttori di dispositivi ottici e optoelettronici per le forze dell'ordine, l'industria e la sanità. Ma cosa è successo? Da subito Mosca ha fornito diverse versioni sull'accaduto. «Non è stato un drone», la prima precisazione. Poi la fabbrica è diventata un deposito di fuochi d'artificio, dopo si è tornati a parlare di un drone, successivamente si è evocato l'errore umano. Il sito indipendente Meduza ha invece confermato la tesi ucraina per cui si trattava di un impianto meccanico che avrebbe tra l'altro, con i suoi componenti, partecipato allo sviluppo di un bombardiere di nuova generazione e fornirebbe materiale ottico alle forze dell'ordine e all'esercito russo, come confermato dall'archivio degli edifici pubblici. «Cosa è effettivamente esploso lì, i media non lo diranno, ma non sono stati fuochi d'artificio», ha glissato il consigliere del ministero degli Esteri ucraino Gerashchenko. E questa è una verità quasi certa, tanto che i consueti solerti commenti da parte del Cremlino, stranamente latitano. Fatto sta che la preoccupazione a mosca sembra crescere e il braccio destro di Zelensky, Podolyak, affonda: «Un drone non identificato sulla Russia è un simbolo impeccabile del presente...».
Tra attacchi, controffensiva e propaganda, la paura sta però diffondendosi ben al di là della Russia e dell'Ucraina, non solo per le conseguenze economiche del conflitto. La Polonia dispiegherà altri 2mila soldati per rafforzare il confine orientale con la Bielorussia. Lo ha detto il viceministro dell'Interno Maciej Wasik. La decisione arriva dopo che le guardie di frontiera hanno registrato un numero record di tentativi di attraversamento della frontiera con il timore che membri della brigata mercenaria Wagner possano insediarsi in Polonia per poi minacciare in qualche modo il Paese. Il commento del ministro della Difesa russo Sergei Shoigu ha invece del surreale. Nel più classico dei ribaltamenti di fronte, è arrivato a dire non solo che la Polonia non corre nessun pericolo ma che è anzi «Varsavia sta mettendo a punto dei piani per creare una formazione regolare polacco-ucraina per la successiva occupazione dell'Ucraina occidentale» in quanto «strumento principale della politica anti-russa degli Stati Uniti».
Del resto, si tratta della stessa Russia che, tra le altre cose, parla di «operazione speciale» anziché di guerra d'invasione e che definisce azioni militari la distruzione di edifici civili e ospedali. Ma che adesso, inizia davvero a tremare anche per quello che succede in casa propria.
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