Quando il grillismo - oggi agonizzante - sarà definitivamente imploso, dovremo fare i conti con il suo lascito. E saranno, innanzitutto, conti economici. A partire dal reddito di cittadinanza: la misura simbolo del Movimento 5 Stelle, la promessa elettorale che gli ha permesso di trionfare alle elezioni del 2018. Ma, soprattutto, un provvedimento costosissimo (26 miliardi di euro previsti in tre anni) che rischia di essere un danno permanente per le malandate casse dello Stato. Chi si assumerà la briga di eliminare uno strumento utilizzato da più di un milione di famiglie e dunque da qualche milione di elettori? Le storture del sistema sono ormai evidenti a tutti - compresi i pentastellati più illuminati - ma il reddito è una bomba sociale che rischia di esplodere in mano a chiunque cerchi di disinnescarla. Al di là del peso economico del provvedimento, c'è il suo portato «morale». Perché il reddito è anche la cattiva lezione di uno Stato ultra assistenzialista che paga i propri cittadini per non fare nulla. Con il risultato che i percettori del reddito si inseriscono più difficilmente nel mercato del lavoro e, se lo fanno, in molti casi cercano di farlo in modo irregolare, per non perdere il prezioso emolumento. Lo raccontano le cronache quotidiane di tutti quegli imprenditori che faticano a trovare lavoratori stagionali che accettino un contratto in «chiaro».
Ed è inevitabile che tra le pieghe di una burocrazia antiquata e farraginosa si infilino i furbetti. Non è l'eccezione ma la regola. I 177 migranti con l'assegno «abusivo» sono solo gli ultimi di una sterminata serie. Lo dimostrano i numeri: dal 2019 a oggi sono più di quattrocentomila le famiglie che lo percepivano senza rientrare nei parametri della legge, una su tre.
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