Tel AvivSono le ore in cui gli attivisti della campagna elettorale piegano le bandiere e staccano dai muri le immagini dei candidati, in cui i politici soppesano le alleanze, cercano l'incastro magico dei numeri, guardano anche fuori casa. «Non voglio una soluzione del conflitto con uno Stato solo, voglio una sostenibile e pacifica soluzione a due Stati, ma devono cambiare le condizioni», ha detto Benjamin Netanyahu nella prima intervista dopo il voto, al canale americano Nbc . Il premier israeliano sembra così smussare la dichiarazione pre-elettorale che ha infastidito Stati Uniti e Unione europea - «Se rimango leader non ci sarà uno Stato palestinese» - e che gli avrebbe attirato cruciali voti della destra più nazionalista.
Le sue parole rispondono alle preoccupazioni di una comunità internazionale spaventata dalla possibilità che il premier - cui nei prossimi giorni sarà dato il mandato di formare un governo - costruisca una coalizione troppo spostata a destra. Netanyahu ha vinto le elezioni di martedì conquistando 30 dei 120 seggi della Knesset, il Parlamento. Il rivale dell'Unione sionista, il laburista Issac Herzog, rimasto indietro di sei seggi, ieri alla radio ha detto più o meno di non voler fare «l'uomo delle pulizie» in un governo della destra, ha rifiutato l'ipotesi di un esecutivo d'unità nazionale. Lo stesso primo ministro ha spiegato di avere come obiettivo un governo formato dai suoi alleati naturali: il partito della destra dura e nazionalista di Naftali Bennett, Focolare ebraico; quello dell'ex ministro degli Esteri Avigdor Lieberman; Kulanu, nuovo gruppo centrista di un ex ministro, Moshe Kahlon, e i partiti ultra religiosi. Si tratta di movimenti poco inclini ai compromessi sul conflitto israelo-palestinese, su un possibile accordo sul nucleare iraniano. Sia dagli Stati Uniti sia dalla Ue sono arrivati segnali che indicano come un un governo di unità nazionale o la presenza di figure capaci di smussare gli angoli di una coalizione fortemente spostata a destra sarebbero l'opzione preferita dalla comunità internazionale. È troppo presto per capire però che faccia avrà il quarto mandato di «re Bibi». Fra due o tre settimane, «quando i partiti della destra inizieranno a fargli pressioni vedremo se cercherà alleati tra i moderati», a sinistra, spiega al Giornale il cronista di Haaretz Anshel Pfeffer. Per Tal Schneider, blogger politica, non ci saranno sorprese. La coalizione sarà formata da alleati a destra, i laburisti rimarranno all'opposizione: Herzog, figlio d'arte di una sinistra ancorata all'eredità politica di Yitzhak Rabin «non entrerà mai nel governo di un primo ministro che dice no a uno Stato palestinese».
Il no ai due Stati di Netanyahu ha irrobustito le tensioni con l'Amministrazione Obama e imbarazzato l'Ue. «Sulla base dei commenti di Netanyahu, gli Usa rivaluteranno la loro posizione», erano stati le forti parole di un portavoce della Casa Bianca in seguito alle dichiarazioni pre-elettorali di Bibi, mentre fonti interne all'Amministrazione hanno detto al New York Times che Washington potrebbe appoggiare una risoluzione Onu che tracci i termini per la formazione di uno Stato palestinese sui confini del 1967. Il presidente americano fino a ieri non ha alzato il telefono per congratularsi con Bibi, lo ha lasciato fare a un freddo segretario di Stato, John Kerry.
Sono dovute trascorse quarantott'ore - durante le quali è arrivata la marcia indietro del premier israeliano - perché il leader della Casa Bianca si decidesse ieri a fare la chiamata in cui ha «ribadito l'impegno di vecchia data degli Usa per una soluzione con due Stati».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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