Si potrebbe ribattezzare la nemesi del Papeete. Stavolta, però, la vittima della fregatura rifilata dalla coppia Conte-Zingaretti è l'altro Matteo (Renzi). La mossa del cavallo arriva nella notte, tra mercoledì (giorno delle dimissioni dei ministri Iv) e giovedì (il presidente del Consiglio Conte sale al Colle). Il nastro delle trattative, che precedono l'apertura ufficiale della crisi di governo, va riavvolto. Mercoledì pomeriggio, Renzi annuncia il ritiro della delegazione Iv dall'esecutivo giallorosso. Ma ha in tasca una promessa da parte di Zingaretti, Bettini e Conte: le dimissioni di Teresa Bellanova, Elena Bonetti e Ivan Scalfarotto saranno congelate. È il punto di caduta, trovato in extremis, su cui far ripartire una trattativa lampo per chiudere la crisi con un Conte ter e qualche ritocco nella squadra dei ministri. I segnali vanno tutti in quella direzione: Conte, di rientro dal primo colloquio con il Capo dello Stato Sergio Mattarella, lancia messaggi di distensione. Un paio di ore dopo, Renzi, nella conferenza stampa in cui annuncia l'addio dei ministri all'esecutivo giallorosso, tiene aperta la porta al Conte ter. Sbarrando, invece, la strada (altro segnale di una trattativa in corso con Pd e Conte) al governo di unità nazionale con Meloni e Salvini. Dal tavolo sparisce l'opzione di una maggioranza con i responsabili. Renzi è certo di ritornare al tavolo delle trattative con Conte, Zingaretti e Bettini. Ma arriva la fregatura che spiazza i renziani. La coppia Zingaretti-Conte beffa il rottamatore: il premier accetta le dimissioni e assume l'interim all'Agricoltura. Parte l'operazione responsabili con l'obiettivo di tagliare i ponti verso l'ormai ex alleato. Prima Conte e poi il M5s chiudono la porta a un ritorno del leader Iv in maggioranza. Il colpo di grazia arriva con l'ufficio politico del Pd: la posizione di Conte-Casalino-Travaglio (la conta in Aula per sbattere fuori dalla coalizione Renzi e i suoi) diventa la linea ufficiale dei dem. Sembra un copione (una fregatura) già visto nell'estate del 2019 quando Matteo Salvini mandò all'aria il governo giallorosso. Aveva una promessa (dopo una telefonata) da parte del segretario del Pd Zingaretti: elezioni in autunno. Niente inciuci.
Si sa come andò . In quel caso ci fu lo zampino decisivo di Renzi. Tutti ricordano le battute del senatore di Rignano contro Salvini: «Il mojito ti ha dato alla testa». Peccato che stavolta il «fregato» sia lui. Renzi imita Salvini in tutto e per tutto. Cerca di rintanare, come fece il segretario del Carroccio quando si accorse della fregatura. «Mi asterrò in Senato» - annuncia il leader Iv, cercando una sponda tra dem e Palazzo Chigi. Sponda che non arriva. Anzi, Andrea Orlando, numero due dei dem, lo sfida: «Ci sono evidentemente delle ragion più profonde di quelle che hanno portato a questa rottura e bisognerebbe che emergessero». Renzi cerca uno spazio di manovra e rilancia la battaglia sul Mes: «Sono tanti i punti decisivi per la rottura tra Italia Viva e il governo ma su tutti, il Mes. Noi chiedevamo più soldi per la sanità. Il premier ha voluto la conta in Aula».
Sembra il clone di Salvini (all'epoca del Papeete) anche nel linguaggio da martire: «Mi attaccano, ci insultano, ci minacciano. Però, la politica richiede libertà e coraggio». Il vero incubo è l'evaporazione del gruppo di Iv. «Perché spiega un alto dirigente dem con l'avvicinarsi delle elezioni rientreranno tutti nel Pd».
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