Il Pd al bivio del 25 ottobre: o in piazza o alla Leopolda

Nella minoranza si decide fra la manifestazione della Cgil e la kermesse di Renzi. Il 20 la Direzione si occuperà dei dissidenti. Puppato: perdoniamoli

Il Pd al bivio del 25 ottobre: o in piazza o alla Leopolda

Abortita - per mancanza di materia prima e per fortuna - l'idea di asserragliarsi con i seguaci nel «Leopoldo» hotel in opposizione alla fastosa «Leopolda» renziana, Gianni Cuperlo ha annunciato che sarà in piazza con la Cgil nella manifestazione del 25 ottobre. Assieme a lui, è quasi certo che si affolleranno gli ultimi dei mohicani: Stefano Fassina e Pippo Civati. Il «colpo a sorpresa» al quale si lavora, ma del quale non v'è affatto certezza, è che si possa intravvedere tra le vecchie bandiere anche l'ex segretario Bersani. Di cui la Camusso era pur sempre fervente ammiratrice (scontandone il fio nel pessimo rapporto con il premier).

Ma sulle adesioni «di peso» il vertice del maggior sindacato italiano mantiene il massimo riserbo. Anche perché stavolta il gioco rischia di farsi pesante, e Matteo Renzi lavora di bastone e carota (soprattutto bastone) per ricondurre il dissenso interno a un simpatico intermezzo, un gustoso spot, tra due decisioni già prese. Vanno perciò intesi in senso più che mai «liquido» anche i minacciosi sfoghi intervenuti dopo la battaglia parlamentare sul Jobs Act. «Quelli li caccio fuori!», pare abbia urlato Matteo ai suoi. Ma la pochezza degli antagonisti ha reso molto più malleabile ed elastica la sferza. Il premier ormai pare limitarsi alle battute oblique, e così sarà almeno fino alla direzione del prossimo 20 ottobre, quando dovrebbe annunciare l'arrivo della sparuta pattuglia di dissenzienti vendoliani (Migliore e i suoi cari). Parlando dell'alluvione di Genova, Renzi ha scritto su Facebook: «Se vogliamo essere seri, se vogliamo evitare le passerelle e le sfilate da campagna elettorale, l'unica soluzione è spendere nei prossimi mesi i due miliardi non spesi per i ritardi burocratici. E cambiare finalmente le cose: portare a termine le riforme contro cui altri stanno facendo ostruzionismo in Parlamento».

Di espulsioni non si parla più. La dolce senatrice Laura Puppato, ormai sempre più in odore di renzismo, dice di esser pronta a battersi, pur di «scongiurare sanzioni nei confronti di colleghi che hanno ben lavorato e per i quali dovrebbe piuttosto valere una valutazione di tipo scolastico». Più o meno: vabe' ti perdono perché sei bravo. Persino il ministro Poletti ieri in tv ha tenuto a moderare i termini (alla Camera si vorrebbe evitare il ricorso alla fiducia), e propone una «riflessione su come si sta all'interno di un partito, di una comunità». Sottoscritta per i non comprendenti: si obbedisce. Invece il numero due del governo, Graziano Delrio, si appella ai reprobi: «Se i parlamentari evitassero di andare in piazza risparmieremmo ai cittadini quei brutti episodi del governo Prodi. Prampolini diceva: “uniti siamo tutto, divisi siamo nulla». Parole scelte con cura, in quanto la nuova linea in voga al largo del Nazareno è quella di varare un partito largo, «a vocazione maggioritaria» come sarebbe piaciuto a Veltroni (se Berlusconi non l'avesse affogato in culla). Una «casa» nella quale c'è posto per tutti e uno sgabuzzo pure per il custode delle orchidee in serra, sempre che non faccia schiamazzi oltre le 20, chè si mangia. Inevitabile il parallelo con la Balena bianca, quel che nel gergo dei cultori della materia viene definito «partito pigliatutto».

Nelle parole del «reggente» Lorenzo Guerini, è un messaggio assai chiaro per i lavoratori stremati dalla crisi: «Non possiamo più cercare rifugio in una rappresentanza predefinita, ma dobbiamo parlare a tutti gli italiani». Grazie a Cuperlo e Fassina si terrà ancora un po' viva l'antica tradizione del partito «di lotta e di governo». L'importante è che rientrino a Casa Renzi rigorosamente per cena.

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