Pd, Gentiloni corre a Roma 1 Ma gli altri big non lo imitano

Il premier scioglie la riserva e annuncia: mi presento in un collegio non sicuro. Minniti invece resiste ancora

Pd, Gentiloni corre a Roma 1 Ma gli altri big non lo imitano

Lo chiamano «ticket» o «tandem», arzigogolandolo nei mille modi suggeriti dalla fantasia dei retroscenisti di stanza al Nazareno (e di divanetto alla Camera). Ma quello che avanza inarrestabile sotto i nostri occhi è il processo di lenta e costante de-renzizzazione del Pd. Che, letto alla rovescia, si potrebbe anche definire di «gentilizzazione». Ed è chiaro come questa seconda espressione renda più a fondo l'idea di quel che avviene, anche se non mancano forze contrarie e, soprattutto, tentativi di ridurne l'impatto (se non altro mediatico). Lo stesso Renzi ora cerca di esserne - o meglio sembrarne - l'ispiratore e ieri ha parlato persino «dell'invidia e della gelosia» nei confronti del nuovo stile, negando di provarne, anzi. «Io adoro ammirare le persone, non invidiare». Quindi s'è dilungato sui caratteri e gli stili «molto diversi» e, ha detto, «se cercassi io di gentilonizzarmi o lui di renzizzarsi faremmo una frittata entrambi. Questa è la nostra forza, questo il grande legame». Prova, dice Renzi, che «si può essere del Pd senza litigare». Sarà, e lo si vedrà poi. La sofferenza del segretario non comincia da ora e, tra i tentativi di fronteggiarla, c'è anche la pressione nei confronti degli altri «big» del governo, primo fra tutti il ministro Minniti, a scendere in campo «per dare una mano», cimentandosi in collegi uninominali nient'affatto certi. Come ieri, appunto, alla fine ha fatto Gentiloni abbandonando una resistenza durata settimane, che cercava di ritagliare per sé un profilo di (quasi) super partes, ovvero di risorsa spendibile per il Quirinale in caso di stallo e/o di crollo del Pd nelle urne. «Mi candido nel collegio di Roma 1, un collegio non sicuro», ha fatto sapere via facebook il premier, facendo tirare un sospiro di sollievo all'intera brigata con l'acqua alla gola («Forza Paolo, un esempio per tutti!», s'è buttato a pesce Orfini). Pure nell'annuncio, Gentiloni non ha rinunciato al low profile che gli ha fatto fare strada, chiedendo scusa ai potenziali elettori perché la sua «sarà una campagna elettorale particolare e non mi sarà possibile essere presente ovunque».

Così il Pd si «sdoppia» per cercare di prepararsi a ogni evenienza: e se Renzi, comprimendosi nel ruolo di comprimario, butta alle ortiche l'irruenza di una linea tesa all'inseguimento dei Cinquestelle, pur rimanendo il detentore della vis polemica, l'«altro» invece vola alto e prefigura una linea europeista senza eccezioni, per un'Unione che «si faccia protagonista del cambiamento senza subirlo».

Insomma, quasi incarnazione della «forza tranquilla» e responsabile che guarda «con speranza» all'intesa Schultz-Merkel, come scrive in una lunga nota inviata a un gruppo editoriale tedesco alla vigilia del congresso Spd che dovrà sancire l'alleanza. «Germania e Italia hanno una responsabilità condivisa» nel guidare il cambiamento Ue, scrive Gentiloni, ancora una volta ipotecando una poltrona a Palazzo Chigi. Che non sarà per due, però.

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