Cambiare tutto per non cambiare nulla: nel più classico stile da Gattopardo, la maggioranza dei capicorrente del Pd punta per la segreteria sulla carta «outsider» (donna, giovane, fluida, molto sinistra-che-piace-alla-gente-che-piace e, soprattutto, non Pd) per assicurarsi di continuare a controllare il partito. O quel che ne rimarrà, visti i tempi biblici del congresso.
L'outsider (ma molto «in») è Elly Schlein, che - dall'oggi al domani - si ritrova ad essere la candidata segretaria su cui puntano non solo l'uscente Enrico Letta, ma anche l'eterno Gran Manovratore Dario Franceschini, l'ex segretario Nicola Zingaretti e altri capataz del corpaccione centrale dem. Con un duplice obiettivo: stoppare la discesa in campo del governatore emiliano Stefano Bonaccini («È un clone di Matteo Renzi», l'accusa di un dirigente dem che sintetizza le ragioni del fronte del No) e tagliare le gambe anche alla sinistra interna di Andrea Orlando e Goffredo Bettini.
Elly Schlein, si racconta, è «titubante»: l'idea di essere incoronata leader la lusinga, certo, ma farlo con l'imprimatur degli eterni capicorrente, nonché responsabili del risultato non esaltante delle ultime elezioni, è imbarazzante per chi teorizza la palingenesi. Senza contare che Bonaccini è stato l'artefice della sua carriera (oggi Schlein è la sua vice in Emilia Romagna), ed essere usata per «pugnalarlo alle spalle» - secondo la colorita formula usata da un bonacciniano - richiede un notevole pelo sullo stomaco. Oggi, dice lei, scioglierà la riserva e dirà cosa vuole fare da grande. Intanto il partito è in fermento, e dal Nazareno si ventila l'idea di accelerare a gennaio il congresso (previsto per le Idi di Marzo), come chiesto ieri da un appello di donne dem, da Valeria Fedeli a Alessia Morani a Alessandra Moretti a Elisabetta Gualmini: «Altrimenti nel frattempo il Pd rischia di essere azzerato».
In verità, Matteo Renzi e il Terzo Polo si fregano le mani all'idea che il Pd possa scegliere la giovane Elly, spostando l'asse politico sulla sinistra salottiera e lasciando a loro potenziali praterie riformiste e moderate. L'ex premier fiorentino non lo direbbe neppure sotto tortura, ma il candidato più inviso per lui è proprio quel Bonaccini che viene accusato di essere il suo clone, ma che gli farebbe concorrenza al centro.
In attesa di decidere - con calma - di che morte morire al congresso, il Pd deve anche decidere che fare alle prossime regionali di Lazio e Lombardia. Con Conte che ormai ha dichiarato guerra (e sta acquisendo a buon prezzo i rosso-verdi di Fratoianni e Bonelli, che dopo aver fatto eleggere sé stessi e i propri cari in alleanza col Pd ora meditano il salto della quaglia verso M5s e il suo candidato anti-dem nel Lazio) e il Terzo polo che ha messo in pista i suoi nomi. Sull'assessore laziale alla Sanità D'Amato, indicato da Calenda, è arrivato ieri l'imprimatur a sorpresa (in conto Franceschini) del segretario regionale dem Astorre: «É il candidato del Pd». La decisione andrà ufficializzata, ma così le primarie verrebbero evitate. In Lombardia la situazione è più complessa.
La scesa in campo di Letizia Moratti, con appoggio esplicito del Terzo Polo, ha colto il Pd del tutto impreparato e privo di candidati da contrapporle: Giuliano Pisapia non ci sta, altri nomi forti al momento mancano. E dopo Repubblica, Luigi Zanda e molti opinion-maker di sinistra, ieri anche la ex ministra della Difesa Roberta Pinotti ha aperto alla possibilità di sconfiggere la destra con Moratti. Ma il Pd replica: giammai.
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