Riforme e tasse in cambio dei 209 miliardi di euro di sussidi e finanziamenti previsti per l'Italia dal Recovery Fund. È quanto al Commissione europea ieri ha messo nero su bianco, presentando le linee guida per la stesura dei piani nazionali di ripresa e resilienza. «Le riforme potrebbero anche portare risparmi di bilancio (come alcune riforme pensionistiche o l'eliminazione delle sovvenzioni nazionali dannose per l'ambiente) o aumentare le entrate potenziali nel medio-lungo periodo (come effetto secondario dalla promozione di una più efficiente, digitale e sostenibile economia, con minore disoccupazione o una maggiore partecipazione della forza lavoro o una maggiore capacità di innovazione) o da a combinazione di tutti questi effetti», si legge nel testo pubblicato a Bruxelles nel quale si sottolinea come «ad esempio, spostare la tassazione dal lavoro verso imposte ambientali ben progettate, anche con effetti distributivi, può stimolare l'occupazione, cambiare comportamenti di consumo e aiutare l'Unione a raggiungere i propri obiettivi ambientali e climatici».
Insomma, quello che chiede l'Europa sono interventi strutturali, non a caso il Jobs Act renziano è stato citato come esempio positivo. L'idea di eliminare gli sgravi alle accise sui carburanti, proposta dai ministri Gualtieri e Costa, va in questa direzione. Così come, probabilmente, saranno giudicati favorevolmente nuovi interventi anti-evasione tramite la digitalizzazione e la tracciabilità dei pagamenti. Analogamente, i progetti del ministro del Lavoro Catalfo di riformare gli ammortizzatori sociali, superare quota 100 e rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale possono considerarsi fattibili. Da Palazzo Berlaymont, infatti, hanno specificato che «le risorse del Recovery Fund potranno essere spese anche per abbassare la pressione fiscale o semplificare il sistema fiscale, qualora il taglio o la semplificazione sia inquadrato in una riforma del sistema fiscale». Una deroga all'imperativo di usare i fondi per interventi one-shot e che non richiedano coperture pluriennali.
Più difficoltosa, invece, appare la «sintonizzazione» tra il piano embrionale presentato in Parlamento dal ministro Gualtieri e le richieste specifiche di Ursula von der Leyen e degli altri commissari, Dombrovskis in primis. La Commissione ha confermato che ogni piano nazionale dovrà includere un minimo di 37% di spesa relativa agli obiettivi climatici e del 20% per la transizione all'economia digitale. Questo include investimenti nella diffusione della connettività 5G, sviluppo delle competenze digitali attraverso le riforme dei sistemi educativi e aumento della disponibilità e dell'efficienza dei servizi pubblici utilizzando nuovi strumenti digitali. Il ministro degli Affari Ue, Enzo Amendola, ha cercato di rassicurare dichiarando che «si tratta solo di allineare i piani alle richieste della Commissione».
In ogni caso, sia in caso di puntualità che di ritardo nella stesura, i primi fondi di Next Generation Eu, incluso il prefinanziamento del 10% previsto dal Consiglio Ue, dovrebbero essere erogati «verso la fine del primo semestre» del 2021.
In coda due note.
Il ricalcolo delle risorse ha fatto aumentare di 1,5 miliardi i sussidi per l'Italia a 65,4 miliardi per un totale di 193 miliardi distribuiti direttamente (il resto dei 209 miliardi arriverà dal bilancio Ue). La seconda è meno positiva: nel 2021 ritorneranno le raccomandazioni di bilancio e, dunque, per l'Italia è già tempo di processi.
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