
Sputi e canti d'odio. Al grido «Morte agli arabi» e «bruci il tuo villaggio», decine di giovani ultranazionalisti ebrei hanno aggredito commercianti e residenti musulmani nella Città Vecchia, prendendo a calci le saracinesche dei negozi in un giorno simbolico, poco prima della «Marcia delle bandiere» con cui decine di migliaia di israeliani hanno celebrato «la riunificazione» di Gerusalemme e il ministro di estrema destra Itamar Ben Gvir ha invocato la pena di morte per i terroristi e lo stop degli aiuti a Gaza.
Mentre Israele annunciava un'operazione «senza precedenti» a Khan Younis, Sud della Striscia, e bombardava una scuola «piena di miliziani di Hamas» a Gaza City, provocando la morte di oltre 50 persone ieri, la Città Santa tornava terreno di scontri, tensioni e arresti nella Giornata di Gerusalemme, in cui gli ebrei celebrano la conquista della parte Est nella guerra dei Sei giorni del '67, compresa la Città Vecchia e i suoi luoghi sacri anche per cristiani e musulmani. La comunità internazionale non riconosce l'annessione e i palestinesi rivendicano Gerusalemme Est, che considerano «occupata», come capitale di un futuro Stato palestinese.
Così anche quest'anno, nonostante i musulmani e le frange più moderate degli israeliani la ritengano una provocazione, non è mancata la passeggiata del ministro dell'estrema destra Ben Gvir a quello che per gli ebrei è il Monte del Tempio e per i musulmani la Spianata delle Moschee. «Ho pregato per la vittoria nella guerra a Gaza, per il ritorno di tutti i nostri ostaggi e per il successo del nuovo capo dello Shin Bet, il maggiore generale David Zini», ha scritto il ministro della Sicurezza, nonostante la nomina di quest'ultimo sia considerata illegittima dalla procuratrice generale. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha tenuto invece una riunione di governo nella Città di David, sito archeologico dove è nata Gerusalemme, promettendo che la città, «la nostra capitale eterna», «riunificata» 58 anni fa, «non sarà mai più divisa». «Preserveremo una Gerusalemme unita e la sovranità di Israele», ha promesso «Bibi».
Tensione alle stelle, dunque, anche nella città simbolo della contesa fra israeliani e palestinesi, mentre a Gaza prosegue sempre più massiccia l'offensiva «Carri di Gedeone» delle Forze armate israeliane per conquistare il 75% dell'enclave in due mesi. Quasi nelle stesse ore in cui l'Idf annunciava un'operazione militare «senza precedenti» a Khan Younis, sud della Striscia, mentre i morti per l'attacco a una scuola di Gaza City salivano a 36 (tra cui 18 bambini) e altre 19 vittime si contavano a Jabalia, a Nord di Gaza, a causa dei raid israeliani, una decina di manifestanti ebrei, fra cui anche la deputata Yulia Malinovsky del partito Yisrael Beiteinu (la destra nazionalista e laica) hanno fatto irruzione in un complesso dell'Unrwa a Gerusalemme Est, prendendo di mira l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di fornire assistenza umanitaria ai profughi palestinesi e che Israele ha messo al bando accusandola di legami con Hamas. Quattro anni fa, nel 2021, lo sgombero di alcuni residenti palestinesi dal quartiere Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est, per decisione della Corte Suprema, provocò le proteste dei palestinesi che sfociarono in scontri violenti con la polizia e bombardamenti proprio su Gaza, dopo che Hamas lanciò razzi contro Israele. Undici giorni di cosiddetta «Unità dell'Intifada», una lotta che tenne insieme Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est.
Le tensioni ritornano, oggi come ieri. Alimentate dal governo Netanyahu, che nelle scorse ore ha approvato una risoluzione per incoraggiare e sostenere finanziariamente i Paesi stranieri pronti ad aprire o trasferire le loro ambasciate in città, come fece Donald Trump chiudendo il consolato Usa a Tel Aviv per aprire un'ambasciata nella Città Santa nel maggio 2018.
Alle cancellerie che valutano il riconoscimento dello Stato palestinese e invocano la fine della guerra e l'ingresso di aiuti umanitari, i ministri israeliani hanno risposto di essere pronti all'annessione di parti della Cisgiordania. La pace sembra un miraggio.
Eppure Netanyahu prima non esclude un annuncio di tregua entro oggi, poi fa marcia indietro. Speranza e incertezza logorano le famiglie dei 58 rapiti ancora nella Striscia, che parlano di «terrorismo psicologico» del premier. In tutto solo 20 rapiti sarebbero ancora vivi.