Il Ponte è lo Stretto necessario per strappare il Sud alle mafie

Il progetto del 2003 è stato rivisto e corretto ma il popolo del "No" insorge con i soliti mantra ambientalisti: pronta una guerra di carte bollate per fermarlo. Sulla fattibilità si scontrano fake news e fact checking. Ai boss che flirtano con i politici locali l'opera non piace perché porta progresso e presenza dello Stato

Il Ponte è lo Stretto necessario per strappare il Sud alle mafie

Lo Stretto indispensabile. È quello che manca qui. Senso civico, sviluppo, prospettive. «Il Ponte sullo Stretto sorgerà qui», ci dice uno dei tantissimi ingegneri coinvolti nel progetto, puntando il dito su Messina, in un'area vicina all'autogrill di Villa San Giovanni. Il progetto di Impregilo, oggi Webuild, era del 2003: è stato limato e nel 2010-2011, quando Mario Monti lo ricacciò in un cassetto. Come una fenice è risorta la società Stretto di Messina, di cui il ministero dei Trasporti è azionista di maggioranza, assieme a Rfi, Anas, Regione Sicilia e Regione Calabria. L'ultimo reportage del Giornale era di 15 anni fa, siamo ancora a ground zero, al punto di partenza, con l'incubo che il Ponte diventi l'ennesima incompiuta, come molte delle case che si vedono. Il primo mattone lo metterà Matteo Salvini, il progetto è quello dello scorso 16 marzo, quando in piazza di Porta Pia si è svelato alla presenza dei presidenti di Sicilia e Calabria, Renato Schifani e Roberto Occhiuto. Obiettivo ambizioso, inaugurarlo nel 2032. Avrà un'unica campata centrale lunga 3,3 km, un'intuizione firmata William Brown, un impalcato largo 60,4 metri, torri alte 399 metri, 65 metri di altezza del canale navigabile e 6 corsie stradali e ferroviarie, con un know-how che arriva da Usa, Giappone, Danimarca, Spagna e Francia. Dall'autostrada A2 che ha ricacciato nell'oblio la vecchia denominazione A3, scendiamo a Cannitello, frazione tra Reggio Calabria e Villa San Giovanni. Tra la dirimpettaia Torre Faro e queste casette basse ci sono circa 450 famiglie a cui è stato chiesto, sulla base delle risultanze catastali, di farsi devastare appartamenti e terreni per fare spazio a Ponte, cantieri, opere connesse, svincoli. Ci sono solo pochi giorni per opporsi. Dicono che il Ponte qui non lo voglia nessuno, a partire dai sindaci dei tre Comuni dello Stretto Giuseppe Falcomatà, Giusy Caminiti di Villa San Giovanni e Federico Basile di Messina, pronti a sommergere il progetto del Ponte con una marea di carte bollate, nonostante una serie di opere collegate farebbero loro un gran comodo, come i desalinizzatori che scongiurerebbero la siccità e la storica carenza d'acqua.

La fattibilità tecnica non è mai stata messa in discussione (anche se il progetto definitivo ha almeno 68 criticità) una fattibilità comprovata da anni di ricerche. Ci sono 239 richieste di integrazioni - dal monitoraggio dei cetacei al rischio tsunami - presentate dal ministero dell'Ambiente a cui dare risposta, ci si attacca anche alla complessa procedura di nomina dei nuovi commissari della commissione Via-Vas, scaduta a maggio. Ce ne sono solo trenta, non settanta, dicono lavorerà a ranghi ridotti a opera iniziata. Qualcuno invoca la Commissione Ue perché valuti se e come sia stata aggirata la norma che impone una nuova gara. Schermaglie politiche, eppure da queste parti anche l'ingegneria è un opinione: il Ponte spacca trasversalmente partiti, sindacati e associazioni, come la faglia assassina aperta sotto il mare che ha scatenato due terremoti violentissimi, nel 1783 e nel 1908.

«Il Ponte è cruciale per l'intermodalità con Gioia Tauro, Alta velocità e aeroporto di Reggio e avrà ricadute decisive sul territorio», ci dice davanti a un caffè sul Corso Garibaldi l'ex assessore regionale alle Infrastrutture di Jole Santelli, Domenica Catalfamo, che in una recente audizione in Parlamento ha smontato molte delle leggende metropolitane sull'opera. Come sempre, in quest'era del verosimile, le facili fake news stravincono sul più faticoso fact checking: l'opera dovrebbe sopportare terremoti di magnitudo 7 sulla scala Richter e resistere a venti fino a 270 km orari, gli stessi che agitano i boschi degli oltre 400 impianti di pale eoliche che si vedono sull'autostrada, scendendo da Milano. Lo sa bene Jaan Roose, il funambolo che quest'estate l'ha attraversato a piedi su una slackline larga 1,9 cm, sospesa a oltre 200 metri sul livello del mare. Ci ha messo tre ore ed è caduto a 80 metri dal traguardo. Tecnicamente è un'altra incompiuta griffata Red Bull, ma la politica locale ha ignorato un evento da un miliardo di visualizzazioni.

Il Ponte costerà almeno 15 miliardi di euro, è strategico nel Corridoio scandinavo-mediterraneo, secondo Pat Cox, coordinatore della Commissione Ue per il corridoio Ten-T, l'Unione sarà pronta a coprire metà delle spese per l'aggiornamento degli studi sull'impatto ambientale. Negli anni Sessanta la proposta di un Ponte made in Japan venne respinta al mittente da una classe politica incapace, ancora oggi il Giappone è pronto a collaborare. L'ha promesso in Calabria il ministro degli Esteri di Tokio Yoko Kamikawa al G7 di luglio davanti ad Antonio Tajani.

Il Wwf chiede al Parlamento di fermare i cantieri e contesta che il Ponte si faccia «per fasi costruttive», un pezzo alla volta, cosa che non piace nemmeno al presidente dell'Anac Giuseppe Busia. «È una pratica in linea con le best practice internazionali», replica l'ad di Stretto di Messina Pietro Ciucci, secondo cui quando il Cipess darà il via libera al progetto definitivo «sarà approvato anche il piano economico finanziario che accerterà l'esistenza della copertura per l'intero fabbisogno dell'opera». Il popolo dei No è già in marcia, «moriranno i delfini e si schianteranno le cicogne» il mantra ambientalista, il Ponte disturberà gli uccelli migratori e non farà passare le navi portacontainer da e per Gioia Tauro, porto di transhipment nel cuore del Mediterraneo. Il rischio di scontri di piazza all'inizio dei lavori è talmente serio nel ddl Sicurezza c'è l'aggravante per chi usa violenza o minaccia un pubblico ufficiale per impedire un'opera pubblica o un'infrastruttura strategica. A guidare la rivolta i soliti Verdi Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, che si sono visti più in Procura a Roma per una fantomatica class action contro la società Stretto di Messina, difesa dall'ex mentore di Giuseppe Conte (al secolo Guido Alpa) che da queste parti. Lo stesso dicasi per altri leader, fin troppo timorosi di finire in qualche istantanea pericolosa. Lo sa bene Elly Schlein. Il «suo» sindaco Falcomatà è indagato perché avrebbe portato la mafia dentro gli uffici comunali attraverso il genero di uno storico boss, con i suoi politici nati dem e accasatisi altrove il Pd avrebbe «contagiato» anche il centrodestra, ma lei non ha detto una sillaba in merito se non la sua stantia contrarietà al Ponte. D'altronde, la Calabria è come il Fight Club: quello che succede qui resta qui. «Alla magistratura spetta l'ingrato compito di dare una verità giudiziaria rispetto a discutibili scelte politiche», commenta off the record un pm antimafia che ha imparato a conoscere il territorio.

Al Ponte lavorerebbero a regime centinaia di migliaia di persone. Di fabbriche in città ce n'è una sola. La costruzione dei treni è il fiore all'occhiello della Hitachi, ex Ansaldo-Finmeccanica, già O.Me.Ca. a pochi metri dallo stadio. A Reggio Calabria costruiscono i treni per la metropolitana milanese ma anche per Honolulu. Di fianco sibila e stride la littorina diesel che porta i turisti (sic) sulla superstrada statale Jonica 106 dove campeggiano le rovine della Liquilchimica di Saline Joniche (rimasta aperta un giorno e basta), un tracciato che miete decine di morti all'anno per quanto è pericolosa, per metterla in sicurezza servirebbero 10 miliardi. È uno dei troppi paradossi di questa Regione che il governatore calabrese di Forza Italia Occhiuto si è messo in testa di aggiustare, adesso che l'autonomia differenziata minaccia di esasperare le differenze tra Nord e Sud. A fine luglio è bastato un deragliamento per congelare la tratta Battipaglia-Sapri e cancellare treni Alta Velocità, Intercity e Regionali diretti in Calabria per quasi una settimana, dopo che il traffico era impazzito perché su un binario unico e a velocità ridotta, hai voglia a portare Ryanair sullo Stretto con i suoi 8mila passeggeri in più se per colpa del CloudStrike ci sono calabresi rimasti 48 ore lontano da casa. Una jattura contro cui persino il Ponte sarebbe impotente.

Spagnoli, bizantini, arabi, greci, romani, siciliani, turchi. Per molti secoli il mito del mostro marino Scilla, nascosta nella rupe sotto la fortezza dei Ruffo di Calabria, li aveva tenuti lontani ma non troppo. Lo storico Franco Mosino era convinto che l'autore dell'Odissea fosse il reggino Appa, tanta era la precisione dei luoghi del Mediterraneo epicamente raccontati. Il nemico la Calabria o ce l'ha in casa o gli arriva dal mare, lo stesso mare che ha sputato fuori più di 50 anni fa i Bronzi di Riace vecchi 2.500 anni. Solo gli ebrei sono stati cacciati, dopo aver lasciato in eredità la coltura del baco da seta, la seconda sinagoga d'Europa a Bova marina, la prima Torah stampata nel 1475 nella Giudecca di Reggio ma espatriata a Parma. Ed è solo grazie agli sforzi di uno studioso dell'ebraismo come Tonino Nocera se qualche brandello è tornato a casa. Un rapporto tormentato e dimenticato, quello con Israele, a cui lavora Klaus Davi: «I Bronzi potevano essere la Coca Cola della Calabria», identitari come il bergamotto o la 'nduja, e invece niente.

I due guerrieri semi dimenticati vigilano sullo Stretto, come se la Calabria fosse un bastione a difesa dell'Occidente: «L'Aspromonte che domina lo Stretto è la porta a Sud dell'Europa e della civiltà occidentale, il corrispettivo di Roncisvalle a Nord», racconta Carmelina Sicari, uno degli ultimi intellettuali rimasti. È lei ad aver riscoperto la Canzone d'Aspromonte, il prequel della Chanson de' Roland, con tutti gli eserciti cristiani riuniti per resistere ai musulmani. Il quadro del 1562 Il trionfo della morte di Pieter Bruegel, oggi al Prado, sarebbe ispirato proprio da un'apocalittica a Rezo, nome della città nella lingua volgare cinquecentesca, devastata dall'incursione turca del 1552 di cui il pittore fu testimone nel Grand Tour in Italia.

A distanza di cinquecento anni e poco più, il nemico che devasta questa terra si chiama 'ndrangheta, che di sicuro il Ponte non lo vuole. Perché la presenza dello Stato che si annuncerebbe massiccia dà fastidio ai boss che flirtano con la politica e la massoneria, girano indisturbati e mimetizzati mentre muovono miliardi tra paradisi fiscali e Sudamerica a colpi di pizzini, crediti fiscali, speculazioni e criptovalute. Le mafie vivono sul degrado, sulle case non finite, «rimaste troppo grandi, a prova di una speranza tradita, rivoli insignificanti di una diaspora calabrese che s'è mangiata milioni di vite», scrive Gioacchino Criaco, autore di Anime nere. La mole di investimenti che il Ponte genererebbe sarebbe una boccata d'ossigeno per la moribonda economia calabrese, potrebbe richiamare le generazioni interrotte a ricucire la storia e le famiglie. Certe parti del territorio sembrano immobili e immutabili, ci si gioca a carte una capra viva, qualcuno dice che la macchina del tempo sia montata sul volo Milano-Reggio ma purtroppo non è vero. Il miraggio di avvicinare Sicilia e Calabria, che nel Medioevo la Fata Morgana usava per ingannare i nemici della città, riporterebbe questa terra nell'età contemporanea, togliendo spazio a chi si sostituisce allo Stato. La mafia calabrese ha sabotato i Moti nati il 14 luglio del 1970, quando la protesta di piazza stava per affrancare questo lembo di terra maledetta eppure fertile di talenti dal giogo di consorterie, capibastone e baroni. La Bastiglia era la medaglia di capoluogo, la rivoluzione infiammata dall'Msi venne ricacciata nel sangue coi carri armati del presidente del Consiglio Emilio Colombo, mezzosangue calabrese. Ovviamente gli appetiti dei boss ci sono, per le opere prodromiche: cantieri, movimento terra, guardianìa. La Dia ha già pizzicato un dipendente Webuild promettere a un boss siciliano un capannone, tanto è bastato per disseppellire il mantra che il Ponte unisce due cosche prima che due coste. Come se a Milano, Roma o Reggio Emilia non fosse così da tempo, e nessuno se ne scandalizza.

Tra gli inquirenti c'è chi pensa anzi che se il Ponte partisse, certi appetiti potrebbero servire a stanare qualche boss. All'autogrill di Villa San Giovanni si è alzato un vento pazzesco, Messina sembra vicinissima, il giramento di pale racconta benissimo lo stato di rassegnazione misto a rabbia di chi attende, invano.

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