Che Matteo Renzi abbia deciso di gettarsi anima e corpo sul referendum di ottobre non è un mistero. D'altra parte, il fatto che Palazzo Chigi abbia già iniziato la campagna «estiva» sulla riforma costituzionale - oggi dal teatro sociale di Bergamo il premier inaugura la raccolta di firme per il «sì» - è il termometro delle prossime mosse del leader del Pd, deciso a confinare la tornata amministrativa di giugno in un ambito locale senza concedergli alcuna valenza nazionale.
Questa, allo stato degli atti, è la strategia di Renzi. Che, non a caso, fino ad oggi ha dosato con attenzione le sue apparizioni a fianco dei candidati sindaci. A parte due incursioni a Napoli per cercare di risollevare le sorti di una Valeria Valente che alcuni sondaggi danno addirittura al quarto posto, il premier ha volutamente deciso di non mettere la faccia sulla campagna elettorale. La ragione è non solo ovvia, ma finanche scontata. Perché il rischio di una sconfitta pesante è dietro l'angolo. A Roma, infatti, va solo un po' meglio di Napoli visto che Roberto Giachetti se la dovrà giocare sul filo di lana con Giorgia Meloni e Alfio Marchini per riuscire a spuntare il ballottaggio (dove tutti i sondaggi danno invece per sicura la grillina Virginia Raggi). E già un quarto posto a Napoli e un terzo a Roma sarebbero sufficienti a trasformare queste amministrative in una débâcle per Renzi. Che ha fortemente voluto sia la Valente (il Pd bocciò senza esitazioni il ricorso più che motivato di Antonio Bassolino dopo le primarie di marzo) che Giachetti. Senza contare che a Milano non è affatto scontata la vittoria di Giuseppe Sala, visto che Stefano Parisi lo tallona e, dunque, al ballottaggio la partita sarà aperta.
Il dubbio, però, è che Renzi stia sottovalutando l'impatto che potrebbe avere su Palazzo Chigi una sconfitta, soprattutto dovesse essere così netta. Perché nonostante la scelta di non metterci la faccia, il premier non potrebbe che uscire dalla partita elettorale decisamente azzoppato.
Il che inciderebbe anche sulla campagna referendaria, perché diventerebbe un argomento molto forte per chi teorizza il «no» come spallata definitiva al premier. Che, forse, per tutte queste ragioni farebbe bene a giocare in prima linea anche la partita di giugno.
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