E molla sul Recovery. E cedi sul rimpasto. E capitola, in parte, sul Mes. E sbraca pure sugli 007: era la linea invalicabile, la trincea da difendere con le unghie, il no più rumoroso della conferenza stampa di fine anno. Invece Conte si sta arrendendo persino su questo punto: dopo aver fatto cancellare dal piano per l'Europa il centro sulla cyber security da installare presso la presidenza del Consiglio, ora è pronto anche ad affidare al Pd la gestione dei servizi segreti. Una resa totale. Basterà a «placare lo squalo»? A salvare la poltrona? «Renzi ci ha presentato la lista della spesa - si lamentano da Palazzo Chigi - e a noi non è restato altro che andare al supermercato e riempire il carrello». Sarà sufficiente? Giorni duri per il premier, colto dalla sindrome del numeri primi, la solitudine. Attaccato da Iv, pressato dal Pd, poi sostanzialmente abbandonato anche dai 5S, che pure dovrebbero essere il suo partito di riferimento. E l'opposizione non sta a guardare. «Abbiamo raccolto 250 mila firme di appoggio alla mozione di sfiducia a Conte», dice il capogruppo di FdI Lollobrigida. Ma la cosa che gli ha fatto più male, il «tradimento» più pesante, è la freddezza del Quirinale. Conte ha cercato sponde e coperture e ha trovato solo un paterno viatico. «La questione è politica, sei il capo del governo, a te spetta la sintesi». Insomma, sbrigatela tu. Quindi si cede. Via la sicurezza cibernetica, via mancette e sussidi previsti dal piano per il Recovery, più soldi per investimenti di lungo respiro. E sul Mes per la Sanità si lavora a un compromesso. Conte bis si sgretola, ma non c'è altra strada per tentare di arrivare al Conte ter senza troppi danni. Il voto anticipato, anche se «tutt'altro che escluso» dal Colle, si è dimostrato una minaccia spuntata: come si può pensare che, per affossare Renzi, il Pd consegni al centrodestra il governo e il nuovo presidente della Repubblica? Per non parlare della resistenza dei parlamentari grillini, restii a farsi decimare. Ancora peggio è andata la campagna acquisti. Conte per alcuni giorni ha accarezzato l'idea, tanto in Italia qualche «responsabile» si trova sempre. Poi gli hanno spiegato che non ce n'erano abbastanza, che il Quirinale era contrario a «maggioranze raffazzonate» e che, se in aula fosse andato sotto, poteva scordarsi il reincarico.
E allora non resta che andare al supermarket di Matteo, fare la spesa e sperare di non essere caduto in trappola. Conte sta mollando su tutto, si acconcia al rimpasto e punta a restare a Palazzo Chigi, sia pur ridimensionato, da Winston a Contino. Ma l'accordo non è sicuro, il leader di Iv aspetta un segnale concreto di resa fino alla Befana, poi farà cadere il governo. E sarà difficile evitare una crisi, anche se pilotata, e la procedura prevista. Il premier teme il bidone. «E se durante le consultazioni Renzi pone il veto sul mio nome?».
Così, per evitare sorprese, il premier sta provando a organizzare un vertice di maggioranza per fissare i paletti: i cedimenti sulla linea politica dovranno essere accompagnati da «adeguate garanzie». Il punto è che Renzi, e con lui buona parte della maggioranza, quelle garanzie non vuole offrirle. Conte, se vuole restare, deve bere la sbobba. Altrimenti ecco il governo tecnico, Draghi o Cartabia si vedrà.
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