Non c'è solo l'appello a «non dimenticare il Nord», motore produttivo del paese, come dice il governatore emiliano Stefano Bonaccini e con lui tutta l'ala riformista del Pd.
C'è un avvertimento convergente a Palazzo Chigi, che è risuonato forte ieri nel silenzio agostano, e che arriva da una parte della maggioranza ma anche (il che dovrebbe allarmare ancora di più il premier Conte) dall'interno delle istituzioni europee. Da una parte l'intervista (sulla Stampa) a Bonaccini, che sembra sempre più intenzionato ad incarnare - sia pur con prudenza - un'alternativa alla linea di appiattimento sul populismo grillino del Nazareno. E che guarda con preoccupazione alle scelte neo-meridionaliste del governo: «Non è con fiscalità di vantaggio per aree, settori o categorie che si crea lavoro, ma con investimenti pubblici e privati, sostenendo filiere strategiche di impresa», all'interno di «un grande piano» nazionale che rifondi «sanità, scuola, digitalizzazione, tutela del territorio». Ed è nel Nord, ricorda Bonaccini, che « si concentra buona parte della forza produttiva» del paese: non si può «non ascoltarlo».
Dall'altra parte, «in singolare sintonia di prospettiva», nota la ex ministra Valeria Fedeli, l'intervista (sul Corriere della Sera) a Paolo Gentiloni. L'ex premier, oggi commissario Ue all'Economia, è la personalità italiana di maggior rilievo in Europa, e dalle parole con cui, in piena estate, rompe un lungo silenzio traspare l'allarme di Bruxelles davanti all'inerzia di Roma, e ai confusi appetiti assistenzialisti, statalisti e clientelari che animano l'attesa del salvifico fiume di miliardi dall'Unione. Il monito di Gentiloni (ripetuto ieri a quattr'occhi anche al ministro ai rapporti con la Ue Amendola) è secco: l'Italia è «fra i maggiori beneficiari» del Recovery Fund, oltre che il paese con maggior debito e minore crescita d'Europa. Quindi il governo, che avrà «a disposizione risorse come mai prima» deve avvertire la «gigantesca responsabilità» di saperle usare: è l'ultima occasione per rilanciare il paese. Guai quindi a pensare di continuare a gettare risorse in «azioni di pronto soccorso». Conte non pensi di bussare a quattrini, in autunno, su «cento progetti per dare segnali a tutti», in chiave clientelare. L'Ue si aspetta un progetto complessivo, su poche «aree di intervento che trascinino il resto» e con obiettivi chiari: «spese dettagliate, investimenti, tempi, risultati attesi».
Di tutto ciò non c'è traccia: «Manca una visione di sistema del paese in vista del Recovery Fund: infrastrutture materiali e immateriali, scuola, nuove competenze, innovazione, ricerca, competitività - avverte Fedeli - Non possiamo continuare a ragionare in termini di bonus a pioggia e miriadi di progetti di settore». E manca la consapevolezza che «se non si rilancia il Nord, che prima del Covid era il motore del Pil, non c'è modo di recuperare il gap del Mezzogiorno».
Un allarme rilanciato da molte voci, nel Pd: da Giorgio Gori a Maurizio Martina, a tutta l'area riformista sempre più allarmata dalla crisi d'autunno e a disagio davanti al «vuoto di visione» del governo e ai continui rinvii del premier, che ha congelato tutto in attesa del voto. Mentre da Più Europa Benedetto Della Vedova plaude a Gentiloni: «Il Recovery Fund non è l'albero della cuccagna. Il governo deve affrontare il costo politico di fare scelte e definire priorità».
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