Doveva essere l'iniziativa della ripartenza, dell'orgoglio Lgbt+ di nuovo in parata dopo due anni di Covid. Invece, a Parigi, è bastato tingere di arcobaleno le icone dell'universo Disney e Marvel, nel parco divertimenti più grande d'Europa, per far gridare allo scandalo pure certi collettivi Lgbt+.
Con un biglietto d'ingresso maggiorato - visto il Pride ospitato, che ieri ha visto sul palco di Disneyland anche Mika - per 89 euro a persona è andata in scena una «vicenda discriminatoria, uno choc per chi era semplicemente in visita e non condivideva quei principi», tuona l'Associazione famiglie cattoliche. Altro che orgoglio omosessuale, bisessuale e transgender. Disneyland, per vendere più gadget, ha chiamato a raccolta un popolo che rivendica liberamente il proprio essere. Ma a incassare è stato (solo) il marchio: con un fiume di colori e messaggi di sostegno al Gay Pride usati come merce. Topolino Lgbt+ e gadget arcobaleno; Minnie senza l'iconica gonna a pois bianchi ma in versione pride-peluche con un cuore multicolore tra le mani. Spille, bandiere, portachiavi gay-friendly. Più che una giornata orgoglio Lgbt+, lo sfruttamento di una comunità. Se inizialmente l'evento era stato accolto favorevolmente dal Centro Lgbtqi+ di Parigi e Île-de-France, perché «consente di mostrare una società più moderna e progressista», pure i commenti «pro» del collettivo si sono presto asciugati: non hanno potuto fare a meno di notare come l'idea dell'organizzare la parata a Disneyland sia stata «estremamente positiva per l'immagine del marchio», ammettendo che l'operazione è stata soprattutto «un'azione commerciale» della Disney. Tra critiche ideologiche e ragionamenti sull'opportunità di tenere una festa simile nel tempio dello svago dei più piccoli, il Pride ha innescato polemiche soprattutto sullo spettacolo, nel bel mezzo del divertimento dedicato ai minori: «I bambini vanno a Disneyland per sognare, non per subire della bassa propaganda», è il commento del collettivo Manif pour tous, i pro famiglia tradizionale di Parigi, irritati per il quasi monopolio «arcobaleno» imposto ieri. C'era già stata nel 2019, una parata di sostegno al Gay Pride. Senza però troppi gadget ridisegnati; né messaggi che si prestano in certi casi a fraintendimenti. Al Disneyland Paris 2022, più che a difendere l'inclusione, la promessa di celebrare la diversità con cantanti come Bilal Hassani (gay, ha fatto coming out nel 2017, già vittima di insulti omofobi) e la 28enne britannica Becky Hill che si identifica come «queer» (non eterosessuale) è servita a far cassa. Cambiando le casacche ai pupazzi e nome ai cocktail. Non un caso, ma una tattica. Le Figaro ricorda che Karen Burke, capo di una branca tv della 20th Century Fox (filiale Disney), ad aprile annunciò come «il 50% dei personaggi dei futuri film» prodotti dal topo più famoso al mondo, potrebbero essere «gay o della comunità Lbgt+». E anche nei parchi in Florida o in California il messaggio arcobaleno è stato incrementato negli ultimi due anni. Più che difesa dei diritti Lgtb+, siamo però di fronte a un metodo utilitaristico e a una moralità variabile in funzione del business. Ultrà progressisti a Parigi, ultraconservatori nei Paesi arabi, per esempio.
E se si guarda in Cina, si trova un personaggio tibetano dei fumetti sostituito da una donna nel film Marvel (Doctor Strange) perché indigesto al Dragone, e ci si accorge che il motto «Equità, Diversità, Inclusione» non esiste affatto nonostante i proclami gay-friendly lanciati dal 2020; da «Reimagine Tomorrow», piattaforma nata per «amplificare voci sottorappresentate» e riaffermare «l'impegno in favore dell'equità», tutta chiacchiere e peluche. Fino alle «ospitate» arcobaleno a Parigi.
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