Voglio fare, da sincero antibergogliano, i miei sinceri auguri di pronta guarigione a Francesco. Sinceri perché proprio la Chiesa mi ha insegnato l'importanza di distinguere il peccato dal peccatore, e pertanto certe encicliche (della cui cattolicità dubito molto) dalla persona che le ha firmate. Che oggi è una persona anziana, un 84enne acciaccato, un ricoverato al Policlinico Gemelli per un'operazione al colon che viene definita «di routine», e però un'operazione è sempre un'operazione e un bisturi è sempre un bisturi (un professore di chirurgia della Sapienza ha parlato di «resezione della parte compromessa»). Forse un'anestesia non è sempre un'anestesia: ce ne sono di più o meno pesanti, ma è anche vero che nessuna, nemmeno la più lieve, viene consigliata come ricostituente. Meno che meno a un uomo di quell'età. Devo dire che entrare nei dettagli medici non mi piace per niente, mi suona irrispettoso. Sono ipersensibile? Di sicuro sono ipernostalgico: sì, provo struggente rimpianto per i tempi oramai lontani in cui della salute del Papa, così come di qualunque altra grande personalità, si sapeva poco o nulla. È proprio necessario sapere che il Sommo Pontefice ha un problema al colon? Da dove viene, a cosa tende, tanta maniacale trasparenza? Il teologo Pierangelo Sequeri ha parlato, tempo addietro e dunque non riferendosi al presente episodio ma alla tendenza generale, di una «ingiunzione allo svelamento che nutre la futile attesa del circo mediatico, eccitata dalla violazione di ogni intimità...».
Stavolta oltre al circo mediatico tradizionale lo svelamento della patologia pontificia ha nutrito anche l'immondezzaio dei social, dove oltre ai moltissimi auguri, formulati da credenti e non credenti, ho letto non pochi messaggi orrendi, postati da non credenti ma non nel senso di non cattolici bensì di non civili, mi verrebbe da dire.
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