Lo psicodramma democratico tra mea culpa e accuse al M5S

Volti scuri e sconcerto per la sconfitta parlamentare: ora troppo rischioso affrontare il voto senza canguro. Scontro con i cattodem che chiedono lo stralcio delle adozioni

Lo psicodramma democratico tra mea culpa e accuse al M5S

Volti scuri, canguri azzoppati e strateghi disorientati (oltre che poco desiderosi di fare autocritica). È un brusco risveglio quello del Pd che in mattinata prende atto di non poter sostenere il voto emendamento per emendamento sul ddl Cirinnà e con il presidente dei senatori Luigi Zanda ottiene in conferenza dei capigruppo un rinvio al 24 febbraio. Insomma la strategia è prendere tempo. Il partito di Matteo Renzi dopo aver tentato la grande forzatura, si infrange sul rifiuto del Movimento 5 Stelle di votare il «supercanguro» preparato per saltare a piè pari la discussione sugli emendamenti alla tanto contestata «stepchild adoption» (ribattezzato da Lucio Malan «il vampiro» perché più che far saltare gli emendamenti li svuota proprio) e si ritrova a vivere un vero e proprio psicodramma interno. Nessuno esce apertamente allo scoperto ammettendo di aver sbagliato i calcoli.

Chi parla scaricando sui grillini le responsabilità dello scivolone è Monica Cirinnà che prima annuncia il suo addio alla politica poi ci ripensa. «Ho sbagliato e pagherò. Il mio errore è stato fidarmi dei Cinque stelle. Chiudo con questo scivolone la mia carriera politica», dice la promotrice della legge. In serata, in un'intervista al Tg3, corregge il tiro. «Per ora non me ne vado». Non la prende bene neppure il presidente del Pd, Matteo Orfini. «Quel che è accaduto è sconcertante, abbiamo assistito a un comportamento incomprensibile da parte di chi ci ha chiesto di non cambiare la legge per sostenerla, c'erano le modalità lecite per festeggiare questa settimana la legge Cirinnà».Il paradosso è che i grillini avevano chiesto al Pd di restare in aula anche il fine settimana a votare pazientemente il provvedimento, emendamento per emendamento. Ma è evidente che il partito di Via del Nazareno ha paura della graticola e di alimentare la spaccatura interna. In sostanza reputa troppo rischioso affrontare il ddl Cirinnà secondo la normali prassi parlamentare, con le ombre degli scrutini non palesi e le trappole di Roberto Calderoli disseminate lungo il cammino (molte delle quali puntano appunto sul voto segreto). Serve tempo per valutare nuove strade.I dubbi e le tensioni interne sono palpabili.

Se da una parte c'è chi nel Pd sottolinea che «senza il canguro la legge sulle unioni civili muore», dall'altra c'è sempre l'ipotesi stralcio delle adozioni che potrebbe anche arrivare in una seconda fase. Quelli che esultano sono i «cattodem». E se Stefano Lepri sceglie il silenzio, Rosa Maria Di Giorgi invita a cambiare strada: «Ora è chiaro chi non è affidabile, va ritrovata una sintesi nel partito e nella formula della maggioranza». E Beppe Fioroni invita a riflettere sull'opportunità di mantenere la stepchild adoption dentro la legge. Per loro, però, tira aria pesante. Tant'è che anche Monica Cirinnà, oltre ai grillini, richiama anche le responsabilità dei cattodem. «Voglio che sia chiara la genesi di questa legge: l'intesa è stata sottoscritta da me, Lumia e Tonini». Il cattolico Tonini.

I bersaniani a loro volta mettono in guardia dal toccare l'articolo 5 e puntare su una versione depotenziata della legge. La parola d'ordine è: nessun compromesso al ribasso. Di mezzo c'è l'assemblea nazionale di domenica dove Matteo Renzi alzerà i toni. Per mascherare la sua prima, vera sconfitta parlamentare.

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